giovedì 28 febbraio 2008

Insabbiamento e vergogna!

Si noti bene all’interno dell’articolo, la sottile opera di lavaggio del cervello e di giustificazione di sentenze ingiuste (il poliziotto che ha ucciso Sandri lavora in ufficio regolarmente) e di uccisioni accidentali (come se il poliziotto avesse fatto bene a sparare casualmente ad una macchina di teppisti), quando si fa notare che in macchina con Sandri c’erano 4 dei 20 ultras arrestati l’altra sera a Roma…per cui se Gabriele si accompagnava con dei picchiatori, razzisti e neofascisti…era come loro…e che volete che sia se il poliziotto l’ha ammazzato accidentalmente? (da azionetradizionale.com)




Odio, razzismo e culto della violenza “Voglio sparare in faccia agli sbirri”



15:46 del 27 febbraio



Nelle intercettazioni, durate otto mesi, i progetti eversivi e le strategie di assalto dei gruppi ultrà romani



Scontri in curva



ROMA - Se alla violenza togli un progetto che non hai o non hai mai avuto, resta solo l’odio. Un odio liquido. “Er Talpa” e “Fabbrizzietto”, “er Nano” e “Vampiro”, “Ovo” e “er Bulgaro”, “er Capitano” e “Danielone”, “er Ditta”, “lo Sciacallo” e “er Cinese” odiavano sette giorni la settimana. Non solo la domenica, quando si ritrovavano in curva o in trasferta con qualche lama, qualche mazza o qualche ascia. Odiavano le “guardie infami”, “quegli zingari dei romeni”, “i napoletani”, “le “zecche” dei centri sociali”, “i pennivendoli che si s’azzardeno l’aspettamo sotto le redazioni”, il vicino di casa che si era permesso di guardare un *** ringhioso portato a pisciare senza guinzaglio.



 



“Fomentavano i ‘pischelli’”, ragazzini raccattati allo stadio per essere spinti come una mandria al pascolo davanti a un deposito dell’Atac da occupare, sul ciglio di una discarica in cui “fare a pizze” con gli sbirri tra cumuli di “monnezza” o ai lugubri anniversari di una Destra neo-nazista (Forza Nuova) di cui indossavano la maschera, replicavano le parole d’ordine, frequentavano i luoghi: piazza Vescovio, “il Presidio” (nel parco di Villa Ada), il pub “Excalibur”. E, alla fine, avevano deciso di sporcare di sangue anche le domeniche di festa del rugby.



 



Per otto mesi (dal giugno del 2007 alla scorsa settimana), tirando con pazienza e metodo il filo di un’aggressione consumata nel parco di villa Ada, il pubblico ministero Pietro Saviotti, la sezione anticrimine del Ros dei carabinieri, la Digos, sono rimasti affacciati su un abisso di collera di cui hanno registrato ogni voce, ogni smottamento, ogni esplosione. L’11 novembre, giorno in cui Gabriele Sandri, “Gabbo”, veniva ucciso sull’Autosole, hanno ascoltato gli amici del dj che lo piangevano di fronte alle telecamere, gridando la propria innocenza, pianificarne la vendetta in una notte in cui “Roma brucerà”. Ne hanno rubato le voci eccitate durante l’assalto alle caserme.



 



“I romeni? Je famo strippà er *** quot;

In principio furono i romeni. Il 30 ottobre 2007, Giovanna Reggiani viene massacrata a Tor di Quinto alle spalle di una baraccopoli. Il suo assassino è un clandestino arrivato da Bucarest. Il 2 novembre, a Torre Gaia, quattro romeni vengono bastonati a sangue nel parcheggio di un centro commerciale da una prima spedizione punitiva. “Er Vampiro” (Alessandro Petrella) ne è ammirato ed eccitato. Ne parla al telefono con Alessio Abballe - “Qualcuno comincia ad accenne le micce” - e con “Er Talpa” (Fabrizio Ferrari): “A ragà, non è che se stamo a parlà. Vedemose e annamo ad assaltà un centro sociale o annamo a pijà i napoletani sull’autostrada o pijamo dù rumeni (…) Dovemo fà na cosa da fà strippare il *** e far pensare chi ti governa dall’alto: che è successo? (…) Bisogna creà un focolaio de persone che nun c’entrano un *** con la politica e lo stadio. Ragà, questa è una cosa dei cittadini, una cosa sociale, d’appartenenza de una città e de un Paese. Qui, destra e sinistra e ultras da stadio nun c’entrano un *** quot;.



 



Chi lo ascolta non sa esattamente dove “er Vampiro” abbia intenzione di colpire. Forse dietro casa sua, nel campo nomadi di via Walter Procaccino, dove già una volta ha tirato una molotov. Sa soltanto che sono cominciate le ricognizioni, che l’assalto sarà in pieno giorno, che “er Vampiro” ne parla in questi termini a Matteo Nozzetti: “Se succede na cosa come a Torre Gaia, nun c’hai più un *** de risonanza. Perché sai il mondo come gira. Dopo due settimane te fanno un trafiletto ed è già finita. Famo quarcosa de serio. Pe na volta nella nostra vita deve uscì la perfezione. Je devi mette pepe ar *** Che quelli pensano: *** ma se questi hanno fatto una cosa del genere, me se presentano sotto al Parlamento e me danno la caccia”.



 



In macchina con “Gabbo”

Dei romeni non se ne fa nulla. Domenica 11 novembre 2007, Gabriele Sandri, “Gabbo”, viene ucciso da un colpo di pistola esploso sull’A1 da un agente della stradale che risucchia ogni goccia di odio disponibile, convogliandola altrove. Sulla macchina in cui viaggia Sandri ci sono “Ovo” (Marco Turchetti), “Maverick” (Francesco Giacca), “er Messicano” (Federico Negri), “Simone” (Simone Putzulu), il pantheon di “In Basso a destra” e degli “Irriducibili”, le sigle che ospitano i mazzieri della curva nord laziale. Ad Arezzo, Turchetti “Ovo” - un tipo che in questura hanno già fermato una volta su un furgone carico di martelli, coltelli e spranghe - piange l’amico morto e mobilita la risposta.



 



“Er Nano” (Francesco Ceci) sale su una macchina per raggiungere Arezzo, ma intanto dà disposizioni a chi resta. “Er Nano” è un leader riconosciuto e temuto. E’ pappa e ciccia con Fabrizio Ferrari, “er Talpa”, romanista dei “Bisl” (basta Infami solo lame”), un tipo che l’ultima coltellata l’ha data il 18 febbraio, prima di Roma-Real Madrid. “Er Nano” dà ordini a uno come Fabrizio Toffolo (capo storico degli “Irriducibili” che alterna il suo tempo tra galera e domiciliari) e, neppure due mesi prima, se l’è promessa al telefono con un tale “Carlo”, ultras napoletano, convenendo che “alla prossima, i machete dei laziali” si incroceranno con “le mannaie dei napoletani”. “Er Nano” parla col “Bulgaro” (Andrea Attilia), che di Gabbo è amico fraterno, perché senta i romanisti. Perché si mobilitino “er Vampiro” e “quel matto di Pierluigi”, Pierluigi Mattei, capobastone laziale di “In Basso a destra”. Il “Vampiro” ha problemi. Gli è morta la nonna nella notte, ma mentre in casa si piange, lui si aggiusta per la serata: “Vojo brucià tutto. Stasera vojo brucià tutto”.



 



Pierluigi Mattei impazzisce. Alla madre che lo chiama mentre sta andando allo stadio, grida: “A Ma’, lasciame perde… Che devo fa, eh? Sarebbe da sparaje in faccia alle guardie. Che te credi che non m’andrebbe de ammazzalla na guardia? C’hanno paura degli scontri sti coniji delle guardie. Devono avè paura”. Alla fidanzata, racconta che ha brandito un coltello tra gli occhi a un autista dell’Atac che rompeva e come ha conciato il vicino, che ha incontrato mentre portava a pisciare il *** “Jo detto: A brutta faccia de *** Che c’hai da guardà? Lo vedi sto guinzajo? Te lo metto ar collo e t’ammazzo. Nun me devi rompe li cojoni. Quando passo abbassa lo sguardo”. Con la fidanzata si vanta di aver commesso due omicidi (polizia e carabinieri non sono ancora riusciti a verificare se millanti o meno): “De rumeni n’ho mandati due al creatore e ne ho feriti gravemente altri due. Perciò, se vengono da me trovano la morte”. E quando la fidanzata gli chiede cosa farebbe lui a due rumeni se li vedesse fare a lei quel che lei gli ha visto fare ad un’estranea (palpeggiarla), dice: “Io c’avevo la macchinetta che dà le scosse. Ma quelle *** della polizia me l’hanno tolta. Perciò ne ammazzerei dieci”.



 



Sporchiamo il rugby

Com’è andata la notte dell’11 novembre è noto. Ma avevano deciso che all’odio non dovesse rimanere estranea la festa del rugby. Già il 13 ottobre del 2007, “Er Nano” si informa sull’arrivo dei tifosi del Livorno Rugby, impegnati in una partita con la “Futura Park”. “Mò fomento un po’ de gente. Famme sapè l’orario”. Poi, il 10 febbraio scorso, allo stadio Flaminio, si gioca Italia-Inghilterra, partita del sei Nazioni. Fuori dallo stadio, la polizia ferma Simone De Castro, cugino di Gabriele Sandri. E’ un diffidato. Non può avvicinarsi a nessun impianto sportivo del Paese. E si accompagna a un altro diffidato, Ruggero Isca. Vengono alle mani con la Polizia e il gruppo che è con loro se la squaglia. “Er Talpa” annuncia a Isca la vendetta per i conigli: “Hanno toccato mio fratello. Stavolta li ammazzo. Li faccio inginocchiare, Ruggiero”.



Fonte: repubblica.it

Aggiornamenti dalla Birmania.

NOTIZIE DALLA MISSIONE DI POPOLI 26 FEBBRAIO



Dovrebbero rientrare in Italia la prossima settimana i volontari che hanno partecipato alla missione di Popoli iniziata il 12 febbraio. I medici della comunità hanno compiuto visite alla popolazione Karen dei villaggi di Kerlaw Gaw, Baw Puh La Tha, Nya Pae Tah e Bla Tho, tutti insediamenti che gravitano attorno alla clinica "Carlo Terracciano". La stagione secca, che consente alle formazioni armate di muoversi con maggiore facilità, rende più rischiosa l􀂶attività dei volontari. "Popoli" non ha purtroppo potuto compiere visite nel villaggio di Maw Khee, che dista solo pochi chilometri dalla clinica, ma che è a ridosso di una base militare birmana. Maw Khee rappresenta la prima linea di questa guerra nel distretto di Dooplaya. La decisione di non entrare nel villaggio è stata presa dai responsabili della sicurezza di "Popoli", per evitare che in un non improbabile conflitto a fuoco che sarebbe potuto scoppiare in conseguenza al nostro arrivo, fosse coinvolta la popolazione civile. Anche le visite a Kaw Hser sono state annullate. Il villaggio è particolarmente pericoloso per la presenza di numerosi informatori della giunta birmana e di infiltrati appartenenti al DKBA, la formazione di traditori Karen che collaborano con i generali di Rangoon. La situazione in questi giorni era eccezionalmente tesa: il 14 febbraio, nella cittadina thailandese di Mae Sot, dove il movimento di liberazione Karen ha i suoi uffici, è stato assassinato il Segretario Generale del KNU (Unione Nazionale Karen), primo atto di una strategia che punta all􀂶eliminazione della leadership indipendentista. La lista degli obiettivi da colpire è piuttosto lunga: il colonnello Nerdah Mya, con cui i volontari di "Popoli" collaborano strettamente, è tra questi, e quindi anche la sua sicurezza è a rischio quando si entra in villaggi insidiosi come Kaw Hser. Kaw Hser era già stato visitato pochi giorni fa da alcuni membri e da una infermiera di "Popoli": viste le condizioni sanitarie della popolazione si era deciso di tornare nel villaggio non appena fossero arrivati dall􀂶Italia i medici della Comunità Solidarista. Purtroppo, quelli che noi qui definiamo i "badogliani karen" (gli aderenti alla milizia DKBA, utili servi degli occupanti), hanno impedito che fossero portate cure agli abitanti. Nei prossimi giorni, non appena le condizioni di sicurezza lo consentiranno, i paramedici di "Popoli" raggiungeranno il villaggio, per procedere alla somministrazione di vermifugo ai bambini e alla cura delle patologie più diffuse tra la popolazione.



www.comunitapopoli.org

lunedì 25 febbraio 2008

Rambo va in Birmania, noi ci siamo dal 2001.







A Roma e a Verona davanti ai cinema che proiettavano il nuovo film di Rambo in Birmania si è presentata Popoli. Ha distribuito il volantino con il seguente testo:

Rambo va in Birmania, noi ci siamo dal 2001. Con cliniche e scuole costruite clandestinamente nelle aree di guerra della Birmania orientale la Comunità Solidarista Popoli Onlus sostiene la lotta per l'indipendenza dell'etnia Karen, che si batte per la difesa della propria identità e per fermare il traffico di droga. Solo nei film di Hollywood è facile vincere. Nella realtà la vita di migliaia di persone è legata al lavoro totalmente gratuito di medici e volontari, e al rifornimento di farmaci, strumenti e cibo che garantiamo a questo coraggioso Popolo, dal febbraio del 2001, ininterrottamente.


Godetevi la finzione, impegnatevi nella realtà.





Potete sostenere le scuole e le cliniche di popoli attarverso: BONIFICO BANCARIO codice Iban n° IT19R0518811703000000057192 – VERSAMENTO c/c postale n° 27183326. DESTINAZIONE 5xMILLE indicando p.i. 03119750234


Comunità Solidarista Popoli – Onlus. Stradone San Fermo 20. 37121 Verona


Famiglia "fragile ed esausta", la politica può fare qualcosa.

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Leonardo Varasano uscito sul Giornale dell'Umbria lunedì 18 Febbraio 2008.



Premessa politicamente scorretta: la famiglia di cui si va a parlare qui di seguito è la famiglia tradizionale, quella - per così dire - biblica, fondata sull’unione tra uomo e donna.



Fatta questa necessaria - visto il momento storico - precisazione, proviamo a chiederci quale sia lo stato di salute della famiglia italiana. È vero, come ha scritto Francesco Alberoni, che è sempre più “fragile ed esausta”? A dar retta ai numeri, algidi come al solito, sembrerebbe proprio di sì.



Iniziamo dai divorzi, dalla crisi della forma-famiglia fondata sul matrimonio. Il 2006 è stato un anno da record: secondo il ministero della Giustizia si è passati dai 27.000 divorzi del ’95 ai 47.000 del 2005 fino agli oltre 60.000 del 2006, con un incremento del 25% in soli 12 mesi. Senza contare le intenzioni di divorzio, ovvero quelle coppie che “vorrebbero divorziare ma non lo fanno per ragioni economiche”. Una progressione inesorabile, figlia del cambiamento della morale pubblica, ma non solo. Perché ci si divide? Le statistiche dicono che la causa principale è “il progressivo deterioramento del rapporto” (un’elegante perifrasi che non dice nulla); seguono l’insofferenza verso la vita coniugale, ragioni economiche, litigi, tradimenti e via dicendo. Fanno pendant con questo florilegio di motivazioni le ragioni che più frequentemente annullano le nozze religiose (il “divorzio cattolico”): il narcisismo, la propensione alla poligamia, la “persistente tendenza a dire bugie” e il “gioco d’azzardo patologico”. A volte, “separarsi non solo è lecito” ma “addirittura inevitabile” perché il matrimonio non può trasformarsi in una “trafila di reciproche scorrettezze”: parola di Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano. Da noi per divorziare servono 3 anni - e chi gestisce le vicende legali guadagna bene: il giro d’affari fattura ogni anno dai 500 milioni al miliardo di euro -, mentre nel resto d’Europa si va dal “divorzio on-line” inglese, ai 4 anni necessari per l’ordinamento polacco. In Germania si parla addirittura di “matrimonio a tempo”, eventualmente rinnovabile ogni 7 anni. Fin qui numeri e cause. Che però non rendono conto dei drammi sottesi ai distacchi, quelle tante “guerre dei Roses” sparse anche nel nostro Paese. A Bologna, per superare rancori e sofferenze legate alla separazione, a volte pari ad un lutto, è stata aperta una “Clinica della crisi”. I media danno troppo spesso un’immagine deformata di separazioni e divorzi: i personaggi dello spettacolo sembra lo facciano con leggerezza e allegria. Nessun monito che provenga dalle urla di disperazione e di odio, dal “male di vivere”, dalle difficoltà quotidiane della vicinìa. Nessuno, o quasi, che spieghi che divorziare non è come cambiar casa. Tutto sembra precario, transeunte, prêt-à-porter: il lavoro, i sentimenti, le relazioni interpersonali. Ha ragione Lucetta Scaraffia, la quale parlando del crepuscolo del ballo si è chiesta: “E poi ci stupiamo della fragilità di unioni nate da persone che non hanno provato ad accordare i loro passi neppure per il breve tempo di una canzone?”. Non è un caso che la vita affettiva, spesso disordinata, inclini verso forme paramatrimoniali (secondo l’Istat nascite e nozze, sempre più spesso multietniche, sono sotto la media europea, mentre aumentano sia le unioni di fatto che i nati fuori dal matrimonio).  



Già con quanto descritto fin qui, c’è da non sposarsi mai, da rifugiarsi in un eremo. Altro che “mito dell’androgino”. Ma non è finita. In famiglia si consumano ancora la maggioranza delle violenze sulle donne, mentre i rapporti di vicinato sono sempre più segnati da quella che l’etologo Konrad Lorenz definiva come la “patologia da urbanizzazione”: l’aggressività. Passiamo ai figli. Per soccorrere i genitori - entrambi obbligati a lavorare - mancano asili nido, scuole e college diurni, dove i ragazzi possano essere controllati e al tempo stesso co-educati. Il risultato? Secondo Save the children i bambini si “educano” da soli, con internet. Sembra di udire Homer Simpson - il capofamiglia dell’omonimo cartone animato - quando dice: “Che ci vuole a fare il padre? Ormai i figli si crescono da soli, con intercity, internet, inter… nos!”. Fa sorridere, ma deve far riflettere.



Disarcionato Prodi, siamo ormai in campagna elettorale. Sulla psiche e sulle coscienze è difficile intervenire. Ma la politica, anche in Umbria, può e deve far molto per rimuovere le cause che possono portare all’atrofia dell’istituto familiare. Con le sue difficoltà, con le sue miserie, la famiglia resta sempre la culla originaria dove si soffre e dove, forse più spesso, si gioisce insieme.

sabato 23 febbraio 2008

Bobby Sands: una vita per la sua terra.







«Sono un prigioniero politico perché sono l’effetto di una guerra perenne che il popolo irlandese oppresso combatte contro un regime straniero, schiacciante, non voluto, che rifiuta di andarsene dalla nostra terra». Scrive questo, Bobby Sands, descrivendo il cinico governo britannico dell’allora primo ministro Margaret Thatcher. Arrestato per un attacco dinamitardo a Dunmurry, nella contea di Antrim venne condannato ed imprigionato nel settembre del 1977 nel famigerato Blocco H del penitenziario di Long Kesh. I blocchi H sono l’emblema della repressione inglese su quel pezzo di isola verde, dell’ostinazione con cui la Gran Bretagna pretendeva il possesso di quelle sei contee.

 



Le proteste organizzate da Sands, divenuto presto “officer commanding dell’IRA” nei Blocchi H, non avevano come fine la liberazione dei prigionieri, ma il riottenimento dello status di «prigionieri politici », lo «Special Category » che gli inglesi avevano abolito per tutti i crimini commessi dopo il 1 marzo 1976. Rifiutandosi di essere considerati come criminali comuni, loro che ritenevano di aver combattuto per la libertà del proprio paese, con la blanket protest (”protesta delle coperte”) si rifiutarono di indossare l’uniforme del carcere scegliendo di vivere nudi, con solo delle coperte per coprirsi. Con la dirty protest (”protesta dello sporco”) furono costretti a vivere circondati dei loro escrementi, e ad urinare sotto le porte. Presto il penitenziario di Long Kesh divenne un vero e proprio campo di battaglia alla stregua delle strade di Belfast e Derry: da una parte i prigionieri di guerra, i POWs, e dall’altra i secondini, simbolo dell’establishment britannico.



 



Dopo più di 4 anni di vita in condizioni disumane, iniziò il primo sciopero della fame guidato da Brendan Hughes che, con altri sette detenuti, digiunarono per 53 giorni fino a quando decisero di terminarlo per le condizioni precarie di uno di loro e per le pressanti promesse del governo britannico. Ottenuta la fine dello sciopero della fame, incuranti della parola data, gli inglesi non rispettarono le promesse fatte e non portarono a termine nessuno dei cambiamenti annunciati.



 



Nel 1981 Sands iniziò il secondo sciopero della fame. Fu il primo fra gli hunger strikers detenuti negli H-Blocks ad auto-sacrificarsi, offrendo la propria vita alla causa repubblicana. Poco dopo l’inizio dello sciopero, Frank Maguire, membro del parlamento britannico morì. Si svolse quindi un’elezione suppletiva che Sands, ancora detenuto, vinse contro il candidato del Partito Unionista dell’Ulster. Ma il governo britannico cambiò la legge, introducendo il Representation of the People Act, emendamento che proibì ai prigionieri di partecipare alle elezioni, e che prevedeva che un detenuto potesse essere eletto solo dopo cinque anni dalla fine della pena. Tre settimane dopo, verso l’una di notte del 5 maggio 1981, all’età di 27 anni, Sands cessò la sua battaglia e morì nell’ospedale della prigione per aver digiunato per 66 giorni. Altri nove uomini morirono dopo Bobby Sands tra il maggio e l’agosto dello stesso anno.



 



In centomila parteciperanno al funerale di Sands, ragazzo dal volto gentile, eroe della causa nordirlandese che con disinteressata e stoica determinazione è diventato esempio per molti. Insieme a Bobby Sands, e alla sua capacita’ di sacrificare la propria vita per un ideale, altri uomini lottarono e morirono; diventando punto di riferimento per generazioni di giovani europei. Bobby Sands concludeva il suo diario, tenuto per i primi diciassette giorni di sciopero della fame, con queste parole: «Se non sono in grado di uccidere il tuo desiderio di libertà, non potranno spezzarti. Non mi spezzeranno perché il desiderio di libertà, e della libertà della popolazione irlandese, è nel mio cuore. Verrà il giorno in cui tutta la gente d’Irlanda potrà mostrare il suo desiderio di libertà. Sarà allora che vedremo sorgere la luna».


Da: www.azionetradizionale.com

venerdì 22 febbraio 2008

Resistenza.

ANSA - Alcuni manifestanti sono riusciti a penetrare all'interno dell'ambasciata americana a Belgrado a margine della manifestazione contro l'indipendenza del Kosovo. Lo riferiscono testimoni oculari citati dalla tv Fox-Serbia, secondo i quali i facinorosi sono penetrati dopo aver trovato scarsa resistenza da parte della polizia (nella file della quale si segnalano comunque quattro o cinque agenti contusi) e hanno poi lanciato oggetti e suppellettili dalle finestre.

Sono state notate fiamme all'ambasciata: secondo alcune fonti, a bruciare sarebbe la bandiera dell'ambasciata, mentre altre parlano di fuoco da alcune finestre. I dimostranti avrebbero cercato di entrare nell'edificio, scontrandosi con la polizia. Si segnalano lanci di oggetti anche contro l'ambasciata croata.

Più di 300 manifestanti, in maggioranza giovani, hanno attaccato l'edificio con bastoni e spranghe di ferro, cercando di rompere finestre e porte. La polizia non è intervenuta mentre i manifestanti spaccavano due guardiole di fronte all'edificio, nel centro della capitale, e cercavano di entrare nella sede diplomatica. L'ambasciata era stata già attaccata questa settimana.

giovedì 21 febbraio 2008

Il dovere dell’azione.

Una pace che dura da troppi anni infiacchisce inevitabilmente l’uomo rendendolo vile ed impreparato ad un’eventuale situazione di pericolo. Nella premessa, onesta e franca, che nessuno è immune dai negativi influssi della decadenza moderna, noi che scriviamo compresi, sosteniamo che l’essere umano egoista ed edonista del nostro tempo è, senza dubbio, indisciplinato; a meno che le necessità della vita non gli impongano un determinato regime, il tipico “occidentale” è un decadente in ogni direzione.

Egli dorme fino a tardi il mattino, ozia spesso e manca nei suoi doveri quotidiani. Non eccelle in alcuna disciplina fisica e, nello stesso tempo, si vanta di essere artista o intellettuale. Sperpera - se ne ha la disponibilità - denaro, ricerca da ingordo i dannosi piaceri della gola e si bea nella lussuria. Come può, dunque, oggigiorno, dimostrarsi il coraggio di un uomo? Attraverso quali prove il cittadino del nostro tempo può “superare sé stesso” in uno slancio eroico e virile? Un individuo che teme la morte, che scansa ogni pericolo, che non rischia nulla e che ha paura di essere escluso dal pensiero conformista dei benpensanti democratici: come può un tale essere elevarsi alla dignità virile dei gloriosi tempi passati?

Il valore di un uomo, in effetti, si rivela pienamente solo nell’istante in cui la sua vita si confronta con la morte, con il pericolo. Ma in un mondo che ha volutamente accantonato la guerra, la tensione spirituale e l’onore, la morte la si potrà incontrare soltanto - e neanche così facilmente, visti i progressi della scienza - nei lettini degli ospedali o, peggio, sull’asfalto delle strade cittadine ed extraurbane destinate al traffico delle autovetture e dei motori. Che squallido dipinto! A chi e a cosa giova l’aver allungato la vita biologica se poi questa si riduce ad una banale, monotona e grottesca mangiatoia in cui ogni grande ideale è temuto e occultato?

Un uomo che si rifugia nella tranquillità borghese domestica, tra i falsi ideali del pacifismo e del buonismo, non potrà far altro che subordinarsi alla femmina, la quale altro non cerca se non, appunto, la pace e il nido tranquillo. Al di là di ogni pericolo e di ogni verità. Ma l’uomo deve staccarsi dalla madre, deve staccarsi dalla femmina ed affermare la propria identità guerriera o, altrimenti, contemplativa. Deve altresì disciplinare il proprio agire quotidiano, il proprio linguaggio e il proprio abbigliamento tramite il dominio di sé, l’autocontrollo e l’eleganza, con stile armonico e buon gusto. Deve tornare, poi, ad avere cura per il proprio fisico e la propria salute in modo naturale ed equilibrato. Deve mantenere ed onorare la parola data, gli appuntamenti, la puntualità e la precisione. Deve, l’uomo, rispettare i cicli della vita, senza anticiparli o posticiparli e portare riverenza per la famiglia, gli anziani e i bambini. Deve amare la natura, vegetale ed animale, e temere il bosco e la montagna, le acque ed i cieli. Deve allontanare i veleni della “cultura” com’è intesa oggi nelle nostre scuole ed università, nozionismo puro ed esercizio noioso di memoria, mezzo per la stupida vanità degli sgobboni e dei buffoni. Deve, il nostro uomo contemporaneo, evitare di effeminarsi con letture decadenti e spettacoli “plebei”. Deve, infine, realizzare una diversa idea della donna e del piacere sessuale, lontana dai falsi moralismi ma anche contenuta in quei limiti dettati dal senso del pudore, dell’onore e della responsabilità.

Quando una società, infatti, si scatena nell’immoralità e nella licenziosità dei costumi significa che essa è giunta al termine e che si prepara la “grande guerra”, guerra i cui soli trionfatori saranno coloro ai quali non mancheranno lo “spirito”, l’orgoglio e il carattere. Quando regnano l’affarismo, l’arrivismo, il materialismo, l’egoismo e l’insubordinazione ed ogni senso religioso, sacro e spirituale perisce sotto i colpi tremendi della rivoluzione, possono aversi solo due sbocchi per l’uomo “differenziato” della Tradizione: l’isolamento ascetico o contemplazione e l’azione. Tra le due possibilità, l’azione è quella più temibile agli occhi del mondo perché, se ben preparata ed organizzata, rischia di innescare un processo inarrestabile e sconvolgente. Tuttavia, va pur detto che non tutte le azioni presuppongono l’utilizzo delle armi e la violenza: vi sono azioni ed azioni, secondo i fini da perseguire e le circostanze del tempo.

Va da sé, però, che in ogni azione è possibile scorgere un “combattimento” con altre forze in vista di un obiettivo. Rispetto all’attività mentale, l’azione ha una forza in più costituita dalla evidente rapidità e, quindi, dal minimo dispendio di tempo. Nonostante ciò, la mente non è mai ferma o atrofica: essa agisce prima, dopo e anche durante l’atto stimolando energicamente i sentimenti e suscitando nel cuore angosce e timori, necessari al bilanciamento del positivo e del negativo. L’azione deve attendere il momento propizio, il tempo favorevole alla scommessa, pena il fallimento. Essa diventa, in tale ottica, anche sinonimo di “pazienza”, “addestramento” e “silenzio”. L’azione, infine, pur potendosi ammirare anche in un solo uomo, necessita spesso di un gruppo saldo ruotante intorno ad un centro carismatico: il capo, il condottiero. Ogni rivoluzione, in verità, non è altro che il frutto della fiamma che arde in un provvidenziale, grande uomo e che accende gli animi degli altri valorosi.



Di Gianfranco Mancusi, www.juliusevola.it

mercoledì 20 febbraio 2008

Il sito di Miro Renzaglia chiude.

Ciao...



Dunque...


Il sito chiude...



Ho deciso così perché, sostanzialmente, sento esaurita l’esperienza e l’energia che in origine mi aveva mosso.



È stata una cavalcata, lunga due anni, che ha attraversato molte praterie del dicibile e dell’indicibile...Una cavalcata che è stata a volte, in termini intellettuali, addirittura entusiasmante... Almeno per me ma – credo – non solo per me.



Se fossi un editore, andrei a spulciare in archivio per vedere con quanta intelligenza agli articoli postati si sono aggiunti commenti che, nell’insieme, ben figurerebbero in una collana di scritti critici su più argomenti...



Di questo, devo ringraziare chi, al galoppo solitario delle origini, ha ritenuto, per tratti più o meno lunghi, accompagnarmi per sua spontanea adesione: Susanna Dolci, in primis, che del blog ne è diventata la coamministratrice, Lorenzo V., Stefano Vaj, Alberto B. Mariantoni, Francesco_33, Adriano Scianca, Romano Guatta Caldini, Gabriele Adinolfi, Vincenzo Schiantarelli, Filippo Rossi, Anna K. Valerio, Sandro Giovannini, Antonio Pennacchi, Simone Lacio Drom, Michele De Feudis, Roberto Alfatti Appetiti, Luciano Lanna, Giovanni Tarantino, Andrea Gigliesi, Valentina Cervelli, Katia Anedda, Carlo Parlanti, Nando Dicè, Graziano Cecchini: firme che farebbero la gioia di qualsiasi testata giornalistica cartacea o virtuale che sia...



A tutti, la mia sconfinata gratitudine...



Non si chiude, sia chiaro, per mancanza di utenza: con una progressione prossima alla geometria, a tutt’oggi possiamo vantare riscontri non facilmente raggiungibili da un blog: oltre 18.000 frequentazioni individuali mensili, milioni di accessi e centinaia di migliaia di pagine scaricate...



Si chiude, come dicevo sopra, per mia stanchezza ma, anche, perché sono venute meno le referenzialità dell’area a cui intendevo riferirmi e un’articolazione decrescente delle proposte in discussione...



A questo punto, se continuassi mi sentirei il naufrago che lancia messaggi in bottiglia senza sapere se e da chi saranno raccolti: e io naufrago non mi sento...



Dopo alcuni giorni di oscuramento volontario, e per varie sollecitazioni, rimetto il sito in chiaro con questo mio biglietto di spiegazione, ringraziamenti e, forse, arrivederci, per dare a tutti, collaboratori ed utenti, la possibilità di scaricare o continuare a consultare quanto è stato fatto, scritto e resta di buono: è anche questa una via alla socializzazione... delle idee...



Ciao a tutti e... non servono commenti...



Miro Renzaglia




Ciao a te Miro. Grazie per tutti i suggerimenti e le cose interessanti trovate nel tuo sito. Grazie ancora a te, a Susanna e a tutti quelli che hanno contribuito per la sua crescita. Inutile dire che dispiace...



BOICOTTARE LA FIERA, MA PER ALTRE RAGIONI.



Note critiche sul Salone del Libro di Torino, dedicato, quest'anno, ad Israele.



La pubblicazione da parte di quattro quotidiani di una foto che ritrae una scritta contro Israele a firma di Progetto Torino su un muro del capoluogo piemontese è l'occasione per prendere, da torinese, una posizione sulla questione del boicottaggio della prossima edizione della Fiera del libro.



Ospite d'onore della manifestazione sarà lo stato di...Israele, che quest'anno compie sessant'anni (l'occupazione coloniale della Palestina veniva formalizzata, infatti, nel 1948). La decisione, difesa strenuamente dalle istituzioni locali, ha sollevato le proteste di chi ritiene quanto meno inopportuna la scelta fatta.



I contestatori si dividono in due categorie. Una prima categoria contesta la scelta senza sé e senza ma, ritenendo correttamente che la città non debba celebrare una occupazione militare imperialista che, nel tempo, ha prodotto uno stato che ha tutt'ora in vigore leggi razziali e segregazione, violando ripetutamente le risoluzioni ONU (organizzazione che proprio da tale atteggiamento di Israele è stata nel tempo delegittimata in ambito internazionale). I sostenitori di questa tesi invitano esplicitamente al boicottaggio della fiera, promettendo l'organizzazione di manifestazioni alternative che spieghino le ragioni della Resistenza palestinese nel tempo.



La seconda categoria di contestatori è quella che applica l'ipocrita formula dei "due popoli, due stati" (o, per dirla con D'Alema, dell' "equidistanza"). Essi ritengono che la formazione di uno stato palestinese, nelle zone ai margini di Israele, consenta il raggiungimento di una pace duratura, e magari anche dell'amicizia. Costoro ignorano, o fingono di ignorare, che l'accettazione, da parte dei Palestinesi, di una soluzione del genere, equivarrebbe a legittimare definitivamente il furto della loro terra avvenuto sessant'anni or sono. Tali contestatori, più miti, non parlano di boicottaggio, ma si accontenterebbero di vedere rappresentati alla fiera anche alcuni scrittori palestinesi. Insomma, due popoli, due fiere. O magari una fiera sola, con gli Israeliani che si muovono dove gli pare e i Palestinesi che invece possono stare solo in certi padiglioni, così il realismo diventerebbe totale.



La foto riportata dai giornali si riferisce ad una scritta comparsa nell'estate del 2006, quando Progetto Torino ha condotto una corposa campagna di controinformazione sull'aggressione militare israeliana al Libano. I giornalisti invece, con grande professionalità, l'hanno fatta passare per una scritta comparsa in queste notti, per protestare contro la Fiera del Libro.



Esaurite queste premesse, si può fare, da torinesi una valutazione di come porsi nei confronti della Fiera del libro che si terrà la prossima primavera. Occorre boicottarla, ma non perchè il tema della fiera saranno i sessant'anni di Israele. É perfettamente coerente che il colonialismo sionista venga celebrato in Torino. Dove nel 2006 ci sono stati 1943 sfratti per morosità, e solo nel primo semestre del 2007 gli sfratti erano oltre 1200, ma il comune organizzava le olimpiadi e le universiadi. Dove il degrado avanza, inseguito da improbabili poliziotti a cavallo. Dove si dà la cittadinanza onoraria al Dalai Lama, ignorando che il Tibet, in mano ai monaci, diventerebbe un regime teocratico feudale e schiavista come lo era prima della presenza cinese, ma soprattutto ignorando che il Tibet indipendente dalla Cina significherebbe basi Nato al centro dell'Asia e missili americani puntati su Mosca.



La Fiera del libro va boicottata perchè è un'ammucchiata di folla in una ex fabbrica riadattata, dove non i libri costano al prezzo di copertina e non ci sono sconti fiera, in più si paga il biglietto di ingresso. Va boicottata perchè l'allestimento non è meno volgare di quello di tanti programmi televisivi. Va boicottata perchè è il bagno di folla autocelebrativo di dirigenti istituzionali il cui linguaggio comunemente usato denota che pochi di loro i libri li hanno nella loro vita aperti per vedere cosa c'era dentro.







Giovanni Di Martino, Progetto Torino


(pubblicato su "Rinascita" del 20 febbraio 2008)

martedì 19 febbraio 2008

lunedì 18 febbraio 2008

KOSOVO E' SERBIA!







Il Kosovo del serpente.




Proclamata l'indipendenza dell'enclave del partito atlantico nei Balcani; una piattaforma della tensione e del narcotraffico.




15.53 Il Parlamento del Kosovo, riunito in seduta straordinaria, ha approvato la dichiarazione di indipendenza dalla Serbia. I parlamentari hanno approvato per alzata di mano la proclamazione di sovranità letta dal premier Thaci. La dichiarazione è stata poi firmata dalle principali autorità del nuovo Stato: il presidente Sejdiu, il premier Thaci e il presidente del Parlamento, Krasnici.



Si consideri che la maggioranza albanese del popolo kosovaro è stata realizzata violentemente con invasioni, deportazioni e massacri di serbi il che ha cambiato la geografia etnica della regione in modo illegittimo e criminoso. Si aggiunga che il Kosovo è gestito da trafficanti di droga armati e protetti da americani, israeliani e pachistani. Si consideri che il cuneo kosovaro serve a dar corpo ai fantasmi dello “scontro di civiltà” disegnato sulla falsariga delle teorie di Samuel Huntington e che ha lo scopo di creare una frattura tra il fronte che gli Usa definiscono giudeo-cristiano e quello cristiano-ortodosso, allontanando così l'Europa Occidentale dalla Russia e polarizzando su basi di tensione una situazione cui il partito atlantico guarda con perplessità e con timore. Si calcoli inoltre che il Kosovo si trova geopoliticamente in posizione strategica nel contenzioso tra i due oleodotti, quello russo-europeo del South Stream e quello mediorientale voluto dal partito atlantico del Nabucco, contenzioso che riveste un'importanza strategica di primissimo livello. Si aggiunga infine che il successore di Putin, Medvedev, vuole intascare il successo di South Stream, ragion per cui è disponibile al compromesso con Tel Aviv, Ankara e Washington su Pristina e che la stessa Serbia, beneficiata da quest'oleodotto, è chiamata a venire a più miti consigli. Tutto ciò spiega la nascita e il varo di questo focolaio di disordini e di squilibri in Europa. Che, ovviamente, i portaborse dei camerieri dei banchieri che ci rappresentano politicamente non hanno esitato a riconoscere con tanto di riverenze e moine.


Da: www.noreporter.org


domenica 17 febbraio 2008

Ennesimo inganno italiano... VERGOGNA.

AREZZO - La perizia balistica conferma la deviazione della traiettoria subita dal colpo di pistola che l'11 novembre del 2007 ha ucciso il tifoso laziale Gabriele Sandri nell'area di servizio di Badia al Pino (Arezzo). Lo rende noto l'avvocato Francesco Molino, che difende l'agente Luigi Spaccarotella, accusato di omicidio volontario per la morte di Sandri. A determinare la deviazione sarebbe stato l'impatto fra il proiettile e la rete metallica che divide le corsie dell'autostrada.

STRATEGIA DI DIFESA - La perizia balistica, affidata dalla procura aretina al professor Domenico Compagnini, è stata depositata nella tarda serata di giovedì. «La conferma della deviazione del proiettile - ha dichiarato Molino - è un elemento importante per la difesa. Adesso leggerò attentamente la perizia, ma ho già visto che vengono valutate una serie di ipotesi legate soprattutto alla posizione dell'auto dei ragazzi di Roma».









Terrorismo...






L’assassinio mirato, a Damasco, del comandante militare di Hizbollah, il maggiore partito della resistenza libanese all’aggressore israeliano, ha sollevato nel mondo musulmano un’accusa unanime contro il “terrorismo di Stato” di Tel Aviv. Israele continua a negare ogni coinvolgimento, ma di “grande risultato per il mondo libero” e di “regolamento dei conti” hanno parlato sia l’ex capo del Mossad, Danny Yaton, e sia un ex agente del servizio segreto sionista sul giornale ebraico Ynetnews, mentre un ex responsabile dei servizi Usa, Bruce Riedel, ha ricordato come sia stata “un’operazione significativa... sia che vogliano rivendicarla o no”. A Beirut - dove ogni attività è stata ieri sospesa - il capo politico di Hizbollah, Hassan Nasrallah, ha ricordato la figura dell’Imam Fayed Muganiyeh, stroncato dall’attentato eseguito dai terroristi.



Da www.rinascita.info

Ernst Junger (Heidelberg, 29 marzo 1895 – Wilflingen, 17 febraio 1998).




"Se le grandi masse fossero così trasparenti, così compatte fin nei singoli atomi come sostiene la propaganda dello Stato, basterebbero tanti poliziotti quanti sono i cani che servono ad un pastore per le sue greggi. Ma le cose stanno diversamente, poichè tra il grigio delle pecore si celano i lupi vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos'è la libertà. E non soltanto questi lupi sono forti in se stessi, c'è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in un branco. E'questo l'incubo dei potenti."

DIRETTAMENTE FIRENZExGGI+DOMANI:IERI.

 

venerdì 15 febbraio 2008

Sangue Karen.







Assassinato il Segretario Generale della KNU.




Il Segretario Generale della KNU (Karen National Union), l'ala politica della resistenza del
popolo Karen, è stato assassinato ieri pomeriggio nella sua casa di Mae Sot, sul confine tra Thailandia e Birmania. Padoh Mahn Sha è stato raggiunto al cuore da alcuni colpi di pistola sparati da due individui che si erano introdotti nel giardino della sua casa, nel centro della cittadina thailandese. Proprio un'ora prima dell􀂶esecuzione eravamo stati informati da un dirigente del KNU che le loro fonti di intelligence avevano segnalato la presenza in città di alcuni sicari che avevano il compito di colpire alcuni leader Karen. Il presidente del KNU, Ba Thin, era stato per questo motivo nascosto in un luogo sicuro, lontano dalla sua abitazione. Per Padoh Mahn Sha non c􀂶è stato il tempo. I sicari, che si sono rivolti al segretario generale in lingua Karen prima di esplodere i colpi, sono appartenenti al DKBA, una piccola formazione di Karen che si è venduta al regime birmano nel 1995. Mae Sot non è nuova a episodi di questo genere: sono frequenti gli omicidi e le aggressioni nei confronti di Karen appartenenti alla resistenza. Le azioni sono spesso ordinate da Rangoon, ma non è raro che vi siano iniziative autonome da parte dei  innegati del DKBA. "Non riescono a sconfiggerci sul campo di battaglia" ha dichiarato il colonnello Nerdah Mya dopo l'omicidio di ieri "e quindi uccidono i nostri leader a tradimento". Nerdah, considerato uno degli obiettivi delle operazioni pianificate dai killer filo-birmani, è attualmente sul fronte, impegnato nella difesa dei villaggi che circondano la clinica "Carlo Terracciano". La tensione è alta lungo il confine e esercito e polizia tailandesi sono particolarmente attenti ad ogni movimento: ci si aspetta qualche nuova azione nelle prossime ore. L'esercito di liberazione Karen (KNLA) potrebbe colpire obiettivi e militanti del DKBA in risposta al grave atto di ieri.



www.comunitapopoli.org

Tra-ta-ta zun-zu bun-zu.





FIRENZE

Piazza della Repubblica

16 febbraio 2008

h.12,00

USA a tutta sorveglianza.

Roma - Un database per schedare i cittadini, una rete di operatori telefonici che collaborano con lo stato per controllarli. Gli Stati Uniti spingono l’acceleratore sul fronte di monitoraggio e sorveglianza. Con un database biometrico nuovo di zecca e con la rinnovata fiducia concessa alle telco che finora si sono infiltrate nella vita dei cittadini. Scansioni dell’iride, tratti del volto, impronte del palmo delle mani andranno ad aggiungersi ai 55 milioni di set di impronte digitali archiviate nell’attuale database dell’FBI. Il nuovo strumento sarà più completo, più agile e più accurato, costerà un miliardo di dollari, sarà sviluppato e gestito per dieci anni da Lockheed Martin, l’azienda che si è occupata di costruire l’archivio fin qui utilizzato. Il database si chiamerà Next Generation Identification. I cittadini onesti non avranno di che temere, ha spiegato Thomas E. Bush III per l’FBI: nel database convergeranno le identità biometriche di criminali, di terroristi e sospetti terroristi, di coloro che visitano gli Stati Uniti con una fedina penale che non sia intonsa. L’obiettivo di un rinnovato database? Semplificare lo scambio e la condivisione di informazioni fra le istituzioni americane, spiegano dall’FBI: l’archivio verrà sviluppato aderendo agli standard tecnici condivisi fra il Dipartimento della Homeland Security, il Dipartimento della Difesa e le altre istituzioni che si occupano di tutelare la sicurezza dei cittadini. Questo scambio di dati potrebbe essere operato anche a livello internazionale, un’opzione ventilata in precedenza dall’FBI, una strategia che potrebbe aprire la strada alla costruzione di un database sterminato, condiviso tra le forze dell’ordine di mezzo mondo. Ma le ragioni della sicurezza globale non si perseguono solo a mezzo database. L’apparato normativo che concedeva alla polizia degli Stati Uniti ampi poteri in nome della sicurezza si sta lentamente sgretolando, si tentano di ristabilire le garanzie minime per i cittadini, sottoposti ad un monitoraggio estensivo di telefonate e sessioni web, ma nel frattempo si staglia all’orizzonte un sistema pervasivo di intercettazioni, che andrà ad aggiungersi alla già attiva sorveglianza sulla vita telefonica e web dei cittadini. Fra i provvedimenti volti a fare chiarezza su quanto avvenuto negli anni di lotta al terrorismo e a sgombrare il futuro dall’uso illecito della sorveglianza c’è una proposta di legge secondo cui le intercettazioni vanno regolamentate, e prevede che le procedure di spionaggio statale debbano essere raccolte in relazioni dettagliate. Relazioni dettagliate che dovrebbero coprire anche l’attività passata delle telco e dei provider incaricati delle intercettazioni. Bush aveva opposto il suo niet, aveva promesso ostruzionismo qualora la proposta di legge non avesse previsto l’immunità per gli operatori che hanno cooperato con le agenzie investigative. Il Senato ha dato ragione al Presidente, l’immunità è stata garantita alle telco che hanno agito e, ha spiegato Bush, continueranno ad agire per salvaguardare il paese dalle minacce. La proposta di legge dovrà passare nuovamente alla camera bassa: se EFF intravede nel voto del Senato un futuro nel quale i cittadini dovranno rinunciare alla propria riservatezza in nome della sicurezza nazionale, ACLU, l’associazione americana a difesa dei diritti civili, già ha parlato dell’approvazione di una proposta pericolosa e incostituzionale.



Tratto da Disinformazione, di Gaia Bottà.

mercoledì 13 febbraio 2008

Dresda.





Nella notte tra il 13 e il 14 Febbraio 1945.

Micidiali bombe esplosive e incendiarie.

  Su popolazione civile inerme.



Dai portatori di libertà.



Feuersturm



Noi non dimentichiamo.

Professionisti della mistificazione. Come al solito...

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato degli amici di Base Militante Progetto Torino...



DILETTANTI ALLO SBARAGLIO
.



Stiamo parlando dei giornalisti italiani. Osserviamo infatti che tre quotidiani pubblicano, in data odierna, la foto di una colonna del passaggio pedonale della strada che costeggia il Politecnico. La colonna riporta la scritta "FERMIAMO ISRAELE" e la firma "BMPT" con il simbolo dell'ape. La scritta è parzialmente cancellata e parzialmente ricalcata.

I tre quotidiani ne fanno un uso improprio...e soprattutto differente. Il quotidiano "La Repubblica" (quello che ci ha accostato alle coltellate del Barrocchio ed alle bombe in Val di Susa), inserisce quella foto a pagina 16, con la didascalia "scritte antisemite", a margine di un articolo che riguarda la lista pubblicata in rete con i 162 nomi di professori universitari ebrei.

I giornaletti gratuiti e distribuiti ovunque "Leggo" e "City", invece, parlano di una scritta trovata nella mattinata di ieri, riconducendola alle proteste – di cui, fino ad ora, non ci siamo occupati – contro la scelta di dedicare ad Israele il salone del libro.

Poiché abbiamo la memoria più lunga dei giornalisti che hanno diffuso queste falsità (riscontrabili da chiunque percorra quella strada ogni giorno), ma soprattutto perchè siamo soliti passare molto tempo in giro e poco sulla rete internet, vorremmo rettificare ufficialmente.

Quella scritta, come altre simili, è comparsa nel luglio del 2006, quando Israele invase il Libano, stato sovrano, e la comunità internazionale, insieme ai giornalisti dei quotidiani citati, era voltata dall'altro lato. In quell'occasione, Progetto Torino organizzava una vasta campagna di controinformazione e di protesta, sostenendo attivamente i gruppi che si impegnavano a fare arrivare materiale di prima necessità in Libano, partecipando alla fiaccolata avvenuta in piazza Castello, intervistando giornalisti libanesi e corrispondenti italiani non embedded in Libano. Tutto ciò è comodamente reperibile sul nostro sito www.progettotorino.org, dove c'è anche scritto chiaramente che non siamo di destra.Contestualmente scoprivamo che ignoti, evidentemente nostri simpatizzanti o che condividevano il nostro intento, avevano scritto "FERMIAMO ISRAELE" in giro per la città, firmandosi col nostro nome. Scritte che ci fecero molto piacere.

Concludendo:

  1. le scritte non sono apparse l'altra notte, ma oltre un anno e mezzo fa, quindi niente scoop;

  2. le scritte riguardavano una guerra, non la festa del paese, quindi niente scoop.


Torino, 12 febbraio 2008



Base Militante Progetto Torino

Morti bianche, strage infinita.

L’impennata di infortuni sul lavoro, molto spesso mortali, necessita di una pronta risposta da parte del mondo politico. Si tratta infatti di una vera emergenza sociale che già ampiamente diffusa negli anni passati si è poi ulteriormente allargata con i processi di liberalizzazione del mercato, che implicano la necessità per le imprese marginali, la maggioranza, di tagliare i costi per rimanere competitive, e con il venire meno dei controlli da parte delle strutture pubbliche. Il tragico è che, come quasi sempre succede in Italia, è un fenomeno che si manifesta ogni giorno ma che sale agli onori delle cronache solamente in casi particolari. Poi c’è solo il silenzio. Il caso della Thyssen di Torino con i sette operai morti ne è il caso più eclatante ma la situazione più drammatica si ha nei cantieri edili dove lavorano soprattutto immigrati, polacchi, romeni e africani, disposti a tutto pur di garantirsi uno stipendio e dove i piccoli imprenditori non badano molto al rispetto di standard minimi di sicurezza, come l’utilizzo dei caschi e delle cinture di sicurezza.

Ne ha preso atto il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, che ha ricordato che maggioranza e opposizione hanno votato il testo legge delega sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. La legge (la numero 123 approvata il 3 agosto 2007) è in vigore ma le manca solo un articolo che è ancora in discussione da oltre un anno.

Ed è quello fondamentale perché lì ci sono le sanzioni pecuniarie ed amministrative. Il governo spera di varare la legge entro la fine febbraio e per questo ha chiesto la collaborazione dell’opposizione. “In 17 mesi – ha ricordato Damiano - abbiamo sospeso più di 3 mila imprese. Nei cantieri edili 206 mila lavoratori prima sconosciuti all’Inail, ora sono conosciuti. Si tratta di una emersione importante grazie alla collaborazione con le parti sociali”.

Oggi, “I controlli sono importanti, ma bisogna cambiare la cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro, certamente c’è una frammentazione fra i vari enti che fanno i controlli. Abbiamo assunto 1.411 ispettori del lavoro e il 60%. La verità è che su 100 aziende ispezionate, ben 60 sono fuori norma a vario titolo. Se sommiamo tutti gli istituti, abbiamo 6 mila ispettori che fanno 250 mila controlli annui, ma le aziende italiane sono 4,5 milioni. E allora se non c’è cultura della sicurezza, certamente i controlli non bastano”.

Per il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Gianni Paglierini (Pdci), “dobbiamo assolutamente evitare che mentre il medico studia, il paziente muoia. Serve un piano straordinario di ispezioni e controlli, in grado di far rispettare le leggi e tutelare la vita di chi lavora. Ed è necessario allo stesso tempo che il governo acceleri i tempi e presenti subito i decreti attuativi della legge 123, perché la crisi politica non può rappresentare un impedimento. Il 2008 deve diventare l’Anno della Sicurezza, a testimonianza di un impegno inflessibile e determinato con l’obiettivo di rimettere al centro il grande tema dei diritti: affrontare il legame tra condizione di lavoro (ritmi, orari, stress, nocività) e incidenza degli infortuni è l’unico modo per fornire una risposta compiuta al fenomeno”.



Di Andrea Angelini, Rinascita.

domenica 10 febbraio 2008

Leggi e sostieni "CiaoEuropa".


E' in distribuzione "Ciaoeuropa" del 10 febbraio 2008 (Anno XVII n. 2).


Sommario:



  • Noi? Eravamo fuori, siamo fuori e resteremo fuori di Antonino Amato;

  • La farsa e la tragedia di Fabio Calabrese;

  • Per fortuna ci sono i magistrati di Paolo Signorelli;

  • Intervista a Paolo Del Prete di Antonella Ricciardi;

  • Lampi sulle colline nere di Rutilio Sermonti;

  • Lo sbirro, il masnadiero, il soldato di Paolo Signorelli;

  • Casini italyoti di Kioriosomega;

  • Le lettere di Franco Damiani;

  • E dopo la monnezza arriva la cavalleria di Paolo Signorelli;

  • L’ameba: modello politico italiano di Oscar Aldo Marino;

  • Gli uomini dei "poteri forti" da cani a lepri di Giancarlo Chetoni;

  • Fermate il mondo, voglio scendere di Merimar;

  • La "destra" di Roberto Jonghi Lavarini, Merimar, Franco Morini;

  • Campo di sterminio di Franco Damiani;

  • Tiochfaidh àr là di Comunità Militante Perugia;

  • "Tutto va bene" di Antonino Amato;

  • Ritornano gli Eroi di Antonino Amato;

  • Rubriche varie.




L’abbonamento costa 20 Euro, si possono sottoscrivere 5 abbonamenti x 70 Euro, 10 abbonamenti x 130 Euro. Inviare a: conto corrente postale: 10658920 intestato a: Ciaoeuropa, casella postale 82, 92100 Agrigento, Italia.



Per riceverlo nella zona di Perugia: controventopg@libero.it


Noi non dimentichiamo.

sabato 9 febbraio 2008

LAMPI SULLE COLLINE NERE.


1877-2007: a  130 anni dall'assassinio di Cavallo Pazzo a Fort Robinson.





In tempo di citrullaggini sulle radici dell'Europa, ci piace riflettere su altre radici, quelle degli Stati Uniti d'America, di assai più facile individuazione. Infatti, le radici degli USA consistono proprio nel non avere radici. Non che la gente che li fondò non avesse ascendenti storici, anzi, ne aveva molteplici ed eterogenei, ma la detta fondazione consistette appunto nel dare un taglio a quel tipo di radici, autoproclamandosi nuovi profeti e inventori della super civiltà, ossia novus ordo seclorum.


Filosoficamente parlando, non è che la loro concezione fosse del tutto nuova. Era uno strano intruglio bigotto tra giudaismo biblico e calvinismo, con la soda frizzante di forte dosi di presunzione, tipica degli immaturi. Ma, come tutte le cosiddette ideologie, anche quella non era che un grembiulino, confezionato e ricamato per coprire un sottostante modo di essere, la cui vera natura è più chiaramente rivelata dalle costanti del modus operandi che dai sermoni. Nel caso della neo nazione americana, il fatto che le ideologie debbano la loro fortuna solo alla loro idoneità a santificare a posteriori il modo di essere ed operare prescelto (basta pensare alla fortuna "politica" della stupidaggine evoluzionista), emerge lampante dalla circostanza, apparentemente inesplicabile, che la presunzione ebraica di essere il "popolo eletto" e quella yankee del "destino manifesto" di dominare la Terra, anziché determinare una spietata lotta tra Popolo Eletto e Popolo Eletto Bis, hanno fatto dei due culo e camicia. E' che non sono i ricami sui grembiulini ideologico/religiosi che contano, nella storia, ma i comportamenti che essi intendono legittimare. E giudaismo e calvinismo, come paramenti sacri e lava coscienze del profano americanismo, vanno ugualmente a meraviglia!


Basta percorrere il breve iter dei due secolucci o poco più di storia della nazione americana, per essere immediatamente colpiti dalla costanza dei criteri operativi che la contrassegnarono sin dal suo embrione. Essi furono tre: avidità, frode e violenza. Dopo che, alla fine degli anni Venti del secolo scorso, quei tre cattivi consiglieri portarono il capitalismo di modello Rothschild alla nota tremenda crisi, i governi USA vi posero rimedio nazionalizzando la più florida e redditizia delle attività economiche locali, e cioè il gangsterismo, eretto a sistema di Stato in politica interna come estera. E sappiamo bene come avidità, frode e violenza abbiano potuto, in tal modo, fare un enorme salto di qualità. Sono potute persino giungere, in questo dopoguerra, alla mirabile fusione tra loro, grazie all'invenzione, da parte della nazione/gangster, dell'inedito delitto di "truffa a mano armata", consistente nell'escogitare inganni, anche grossolani, costringendo le vittime riottose, con la brutale violenza omicida, a farsi ingannare (ringraziando pure!). E ha funzionato!


Ha funzionato, grazie all'immensità della stupidaggine e della viltà umana, sua complice primaria. Ma è farina del diavolo, di cui la saggezza popolare (quella vera e antica, non quella "democratica") dice che va tutta in crusca. Può "rendere" per un poco; magari per parecchio, ma il primo vento fresco se la porta via, come la pula.


Quel 5 settembre 1887, la smisurata potenza militare statunitense, dopo la batosta del Little Bighorn, toccò con mano che affrontare sul campo tipi come Toshinko Widko (Cavallo Pazzo), il condottiero Lakota Oglala che beffava la morte, era cosa assai spinosa, e adottò allora il metodo a lei congeniale di invitarlo a un colloquio di pace, ed ivi piantargli a tradimento una baionetta nelle reni. Semplice, economico e con risparmio di "giovani vite americane" (di spirito pratico gli Yankees non mancano certo!). Cominciò, con quel delitto, l'opera programmata di cancellazione dei cosiddetti Sioux (nome wasichu delle tre nazioni affini dei Lakota (o Teton), dei Nakota (o Jankton) e dei Dakota (o Santee), conclusasi tredici anni dopo con l'altro glorioso e proditorio assassinio del grande Lakota Hunkpapa Tatanka Iota-ka (Toro Seduto).


E sui fieri e indomabili Lakota calò il silenzio di morte, né più ebbero l'onore di menzione dalla bocca di alcun Grande Padre Bianco pontificante a Washington. Pensò solo la letteratura popolare (e, di li a poco, il cinematografo) a demonizzarli e schernirli, in mucchio con gli altri "indiani", come pazzi urlanti e assetati di sangue. Niente di nuovo sotto il sole, insomma. Sembravano, per oltre cent'anni, i Lakota e la loro eroica e impari lotta, condannati definitivamente ad essere solo uno sgradevole ricordo. Persino sulle Colline Nere, i Pa-Sapa già sacri a quei popoli, i bianchi senza onore scolpirono sul crinale roccioso, a supremo sfregio, le facce idealizzate dei loro profani Presidenti che li avevano guidati al genocidio. Allo sterminio fisico si aggiunse così la morte storica.


Ecco, invece, il primo soffio di vento. Poco più di un secolo era trascorso dall'infamia di fort Robinson, che sulle colline profanate esplodevano le mine e rombavano i martelli perforatori per l'edificazione del più colossale monumento di tutti i tempi. Alto 130 metri, un uomo a cavallo emerge grado a grado dalla dura roccia, indice destro teso a additare la sua terra, dove sono sepolti i suoi morti. Il viso, ormai completo, è quello di Cavallo Pazzo, eroe riconosciuto ormai, non solo dei Lakota, non solo degli altri cacciatori e guerrieri delle Pianure, ma di tutti gli Indiani rimasti orgogliosamente tali, dall'Atlantico al Pacifico. Anche, si badi, quelle tribù del sud o dell'estremo Ovest che, al tempo della loro libertà, dei Lakota ignoravano persino l'esistenza. Unendosi coralmente ai generosi sforzi di un architetto europeo, di recente naturalizzazione americana, vergognoso per i delitti infamanti su cui era fondata la sua seconda patria, accordatosi con un vecchio capo Lakota, gli straccioni e mendichi, umiliati e negletti, confinati nelle inospitali riserve rifiutate dall'avidità dei "civilizzati", vollero tutti contribuire, pur nella loro povertà, alla riaffermazione della loro civiltà distrutta.


Ai piedi dell'opera immensa, sorse per volontà e con l'apporto di tutte le tribù ed etnie, il grande Museo dei popoli indiani, i cui proventi vanno interamente ai lavori. A questo punto, l'Uomo della Casa Bianca fece l'astuta pensata di rifarsi il trucco da Grande Padre Bianco offrendo, a sorriso spiegato, il contributo degli States, spergiuri e genocidi, di ben 300.000 dollari! Non sponsorizzavano forse i suoi ispiratori e maestri Scarface, Dillinger o Al Capone, scuole, asili o case di cura, magari in misura meno spilorcia? Ma, quando sulla sua faccia di tolla arrivò lo schiaffo dello sdegnoso rifiuto, probabilmente si limitò a borbottare: tanto di risparmiato! Nessun brivido gli corse la schiena. Nessun insegnamento ne trasse. Il Popolo Eletto Bis non accetta insegnamenti estranei. E fece assai male. Qualcosa di inafferrabile si muoveva, in quella sfera che, per un rozzo wasichu, lingua biforcuta, è inaccessibile.


Ed ecco spirare ora il secondo soffio, ancor più grave e inequivocabile, anche se  stampa e antenne addomesticate si affannano a coprirlo di silenzio. Il consiglio delle comunità Lakota ha pubblicamente ed espressamente denunziato tutti i trattati sottoscritti con i Bianchi, ben 33, in forza dei quali avevano acquistato il passaporto statunitense. Motivo: la plateale violazione di tutti essi da parte dei Visi Pallidi. E' semplicemente il principio di diritto romano: inadimplenti non est adimplendum. La conclusione della  motivatissima dichiarazione, ufficialmente comunicata alle "autorità", è drastica: non siamo più cittadini degli Stati Uniti d’America.


Quei trattati, hanno dichiarato e sottoscritto i rappresentanti di tutte le tribù, sono stati violati a più riprese, per privarci della nostra cultura e delle nostre usanze e per rubare le nostre terre. Le consideriamo quindi, da oggi, carte senza valore. Ebbene. confrontiamo tali chiare espressioni con quanto Toro Seduto aveva gridato in consiglio nel 1869, per dissociarsi dalla linea "conciliativa" di Nuvola Rossa. "Quale patto il Bianco ha rispettato e noi abbiamo infranto? Nessuno! Quale patto l'uomo bianco ha mai fatto con noi e poi ha rispettato? Nessuno!". E' quindi, quella dei Lakota del XXI secolo, la rivendicazione piena della posizione dei loro antenati del XIX, senza rinnegamenti né pentimenti di sorta. Ma, quel che più conta, e dovrebbe allarmare Condoleezza & C. ben più che Al Qaeda, è che, dopo due secoli di naturalizzazioni americane invocate e ambite, è la prima snaturalizzazione!


Se il fenomeno si estende (e non poche ne sono le avvisaglie), come pensano di fronteggiarlo i Padroni del mondo? Sganciando bombe nucleari "mirate" a casa propria? O forse distribuendo coperte all'uranio impoverito, in luogo del vaiolo di un tempo? Che il colosso dell'Occidente si avvii piuttosto a fare la fine dell'altro tracotante colosso pseudo antagonista? L'avvenire, dicevano i nostri Padri, è sulle ginocchia di Zeus. Comunque: onore e successo ai Lakota, dei quali ci siamo sempre sentiti fratelli in spirito!


Di Rutilio Sermonti

Pubblicato sul numero 2/2008 di "Ciaoeuropa".

venerdì 8 febbraio 2008

IL VOSTRO CINQUE PER MILLE A POPOLI.





Anche quest’anno la Legge Finanziaria  prevede la possibilità di destinare il cinque per mille delle vostre imposte a POPOLI,


in quanto ONLUS (organizzazione non lucrativa di utilità sociale) iscritta all’Albo dell’Agenzia delle Entrate.


Non è una tassa in più:


siete voi a decidere, liberamente, a chi destinare il vostro cinque per mille.


Come fare per destinare il cinque per mille a POPOLI?


I modelli CUD, 730 e UNICO contengono un nuovo spazio dedicato al cinque per mille.


Mettete la vostra firma nella prima sezione (quella relativa al “Sostegno del volontariato…”) e indicate il codice fiscale di POPOLI.



Il codice fiscale di POPOLI è: 03119750234



Per informazioni: www.comunitapopoli.org


giovedì 7 febbraio 2008

Foibe. Buco nero delle coscienze.







Decine di migliaia di Italiani, civili e militari, senza distinzione di credo politico, uccisi, massacrati, infoibati, dimenticati. Decine di migliaia di italiani cacciati dalle loro case, dalla loro terra, sradicati dalle loro radici, e infine, da profughi, stranieri nella loro patria, l'Italia.

Stranieri non voluti, non accettati, in quanto testimoni di un passato scomodo, in quanto "fascisti" per i quali non c'era posto nella nuova repubblica, né per loro né tanto meno per il ricordo delle loro drammatiche vicende.

Vittime e superstiti per sessant'anni relegati nell'oblio della storia. Per decenni dimenticati, cancellati dalla memoria e dai libri di storia, per opportunismo politico di alcuni, per la pavidità di altri e per obbedire ai diktat incontestabili di chi sessant'anni fa decise l'assetto e la spartizione delle terre d'Europa. O, ancora più drammaticamente, per nascondere le terribili responsabilità di chi contribuì o assistette immobile al massacro dei propri fratelli.

Il 10 febbraio si celebra la IV giornata della memoria, ma ancora oggi, per i caduti e per i profughi, e per chi non rinnega il legame di sangue con i propri connazionali, non c'è giustizia. Ancora oggi, a sessant'anni di distanza, da più parti si levano accuse (quando velate e quando palesi) di "revisionismo" verso chi cerca di ristabilire la verità storica, e di ridare giustizia almeno morale ai martiri delle Foibe. Anche questo è il risultato di sessant'anni di oblio.

I nostri connazionali delle terre orientali non furono solo vittime della guerra, dell'odio etnico, della barbarie di chi non esitò a massacrare uomini, donne e bambini, colpevoli solo di essere Italiani, ma anche e soprattutto di chi, italiano, cancellò la loro tragedia in nome di interessi politici e credo ideologici, relegando la loro storia e quella della loro terra in un buco nero che per molti aspetti tuttora permane. Buco nero della storia e delle coscienze. Un solo "giorno del ricordo", ancora oggi, non può bastare a cancellare responsabilità, opportunismi e sessant'anni di colpevole silenzio.



Comunità Militante Perugia

Ass. Cult. Tyr

mercoledì 6 febbraio 2008

Maccartismo mondiale, oggi.

Ricordate gli anni delle grandi purghe e delle commissioni censorie che hanno dilagato negli USA quando lo spettro del comunismo internazionale ha assunto una connotazione paranoica che ha decimato l’intellighentia Americana mietendo vittime, anche illustri tra il giornalismo, l’arte, il cinema, la letteratura, la classe insegnante universitaria ed in tutti gli stati sociali in nome di una crociata bigotta ed ottusa che nulla aveva a che fare con la vera difesa della libertà contro la tirannia?


Un grande apparato mediatico, giudiziario e politico si mosse per plagiare la pubblica opinione e per scatenare un caccia alle streghe di enormi proporzioni e ci vollero anni ed anni per uscire da quell’incubo.



Ebbene, oggi sta accadendo qualche cosa di simile, ma su di un piano molto più vasto perché il fenomeno sta investendo quasi tutto il pianeta e sta continuamente crescendo a dismisura.



Parliamo della crociata che si sta sviluppando contro chiunque, da qualsiasi punto di vista, osi criticare Israele e la sua politica  verso il popolo Palestinese.



Chi lo fa viene assimilato ipso facto come promotore di un antisemitismo che è solo nella mente di chi ha interesse a difendere una politica oppressiva e criminale che calpesta i diritti fondamentali dei Palestinesi.



Una macchina sofisticata e capillarmente inserita in tutte le amministrazioni e nelle dirigenze dei grandi mezzi di informazione controlla ed incanala le politiche di gestione sia della formazione della pubblica opinione che viene indirizzata ad una particolare sensibilizzazione verso ogni aspetto degli atteggiamenti di critica alla politica estera Israeliana, che verso una sempre più massiccia e pesante legislazione che sanziona tali critiche tacciandole di antisemitismo anche se sono solamente le critiche verso un Paese, Israele, che calpesta ed opprime un popolo, quello Palestinese, reo solamente di essere di intralcio, con la sua stessa esistenza, alla realizzazione del disegno del “Grande Israele”.



L’unione Europea ha acquisito queste tesi emanando delle disposizioni generali vessatorie e liberticide. In Germania ed in Francia ci sono centinaia e centinaia di persone già incarcerate per reati di tale fattispecie ed in Italia si sta procedendo verso tale direzione, tanto che il ministero delle pari opportunità chiede, sul sito ufficiale della ministra Pollastrini, di fare delazione al ministero di ogni caso di questo tipo di antisemitismo.



Il problema non è un supposto razzismo antisemita che potrebbe giustificare reazioni sdegnate nel mondo politico e sociale, perché oggi, in Europa, quasi nessuno sposa le tesi di discriminazione in funzione della razza, della religione o del colore della pelle, ma di una traslazione mediatico-culturale che trasferisce alla critica della politica dello stato di Israele nei riguardi della Palestina e dei palestinesi, un significato razzista che essa non ha.



La riprova di quanto andiamo dicendo è nel fatto che in Israele stesso vi sono movimenti consistenti di cittadini che muovono al governo le stesse critiche senza per questo essere accusati di antisemitismo.



Insomma l’antisemitismo è un giudizio critico pregiudiziale al popolo ebraico (e meglio sarebbe chiamarlo antiebraismo perché semiti sono anche tutti gli Arabi..) e non un giudizio critico  motivato ad un governo o ad uno stato.



Così come in America il maccartismo faceva comodo ad una certa classe politica dominante di neoconservatori bigotti, così questo neomacartismo fa comodo ad una classe politica Israeliana e Americana che vede in Israele una testa di ponte per la “democratizzazione” del medio oriente o meglio per una omologazione di quell’area geopolitica agli interessi del turbocapitalismo finanziario.



Ma non ci si venga a parlare dei sacri principi di difesa delle libertà e della lotta al razzismo.



Sono solo pretesti ipocriti, falsi, cinici e criminali  per giustificare un trattamento, questo sì razzista ed oppressivo verso il popolo Palestinese!




Alessandro Mezzano