giovedì 30 aprile 2009

L'ultima recluta di Salò nel ricordo di Ugo Gaudenzi.


“Ricordi? Mi definivano filo-israeliano... pro-americano... Ma non era certo la mia posizione. E poi tu lo sai: quante volte ne abbiamo discusso”...

Già. Da Ruschena, sotto casa tua. E immersi tra i libri, nel tuo studio sul Lungotevere...

“E dire che la mia vita, tutta, ha guardato, ha desiderato la rinascita della nostra Europa, contro tutti coloro che la occupavano e straziavano... anche quando mi schieravo per l’onore contro la miseria delle masse... Contro corrente.

Come avevo fatto, per la prima volta a 16 anni, arruolandomi nella Marina della Repubblica sociale italiana.

Come quando sostenevo l’Oas.

Come a Nuova Repubblica, cullando il sogno di una “riconciliazione nazionale” tra antifascisti e fascisti nel nome dell’amor di patria.

Come quando, nel ‘68-’69 sostenevo voi, gli studenti del “movimento” contro le “forze sane”, i “reazionari”, le guardie bianche della democrazia cristiana e del pci”.

Eri l’unico a comprenderci. Il tuo essere “fascista di sinistra” - mentre il mondo aveva stracciato a brandelli la memoria del tuo tempo - ci aveva aperto strade impervie: eccezionali e ancora senza fine. Ci facesti conoscere Proudhon e Sorel. E Niekisch e Strasser. E Berto Ricci, e poi Pini, Massi, Ruinas. E Niccolai.

“E anche, e tu lo sai, Bettino Craxi, quando demmo vita, al Raphael, ai socialisti senza tessera, ai socialisti tricolori.

Resto un socialista tricolore, come sempre... La parentesi del “Secolo” fu un errore: ho creduto a spazi inesistenti una volta cacciato Fini. Ma non è ancora troppo tardi, non siamo vinti... E Rinascita lo dimostra. Dobbiamo riprendere il filo. Andare avanti. Sono pronto... Contate su di me”...

Due ore di fitti discorsi sul nostro essere, sul tanto ancora da fare. E si badi bene: nessuna parola sulla ridicola fine (già da decenni scritta) del Msi o di An.

Era il 10 novembre del 2008. Poi la stretta di mano, l’accordo per un incontro con l’amico e sodale comune, Giorgio Vitangeli, e un arrivederci...



Arrivederci, Giano.

Certo non addio.

Ugo Gaudenzi

Rotto l'accerchiamento a Boe Way Hta, i Karen pronti ad altri venti anni di guerriglia.

L'ordine dello Stato Maggiore è arrivato ieri: abbandonare il centro di Boe Way Hta, radunarsi sulla collina che sovrasta la roccaforte. Così i 50 volontari dell'Esercito di Liberazione Karen che guidati dal colonnello Nerdah Mya avevano tenuto testa per tre settimane a 450 assalitori (truppe birmane combinate con milizia collaborazionista), hanno imboccato uno dei numerosi sentieri minati che dal villaggio simbolo della resistenza portano sulle alture circostanti. Ora si passa dalla difesa alla guerriglia. I leader Karen hanno dato l'ordine dopo aver a malincuore constatato che ancora una volta il territorio tailandese era servito alle truppe birmane per manovrare ed accerchiare i resistenti. E dopo aver visto che i rifornimenti destinati al 201° battaglione KNLA erano stati bloccati dalle autorità di Bangkok, sempre meno neutrali in questa guerra entrata ormai nel suo sessantesimo anno. Raggiunto telefonicamente, Nerdah Mya ci ha detto: "Avremmo potuto resistere a lungo se alle nostre spalle non fossimo stati attaccati da un battaglione proveniente dalla Thailandia. Hanno tagliato così l'unico canale di rifornimento aperto. I comandi non avevano altra scelta." Diverse abitazioni Karen poste in territorio tailandese sono state date alle fiamme dalla soldataglia birmana: i civili erano fortunatamente riusciti a fuggire poco prima. La fiera resistenza opposta dai 50 di Boe Way Hta ha costretto i birmani a concentrare nell'assalto diversi reparti dislocati in villaggi occupati lo scorso ottobre. E così l'Esercito di Liberazione Karen ha potuto approfittarne. Il 103° battaglione ha infatti riconquistato ampie fette di territorio, alcuni chilometri più a sud, trasformando la caduta di Boe Way Hta in una vittoria di Pirro per le truppe di Rangoon. "Boe Way Hta è un simbolo" ha dichiarato Nerdah Mya "è stata per molti anni una spina nel fianco dei birmani. L'aveva costruita mio padre (Bo Mya, storico leader della rivoluzione Karen. N.d.r.). Ma noi dobbiamo guardare avanti. Oggi loro pensavano di poter festeggiare una vittoria, e invece si ritrovano subito a dover fare i conti con noi pochi chilometri più in giù. Tutto da rifare. Nessuna vittoria. Mentre noi siamo pronti a combattere per altri 20 anni, per avere la nostra libertà" Con l'occupazione di Boe Way Hta da parte delle truppe birmane perdiamo un'altra delle cliniche della Comunità: la prima, nata nel 2001 e sede di numerosi corsi di aggiornamento tenuti dai medici di Popoli per i nostri infermieri. Ma anche questa risorgerà poco lontano da lì, per proseguire nella vitale funzione di assistenza alla popolazione Karen.



www.comunitapopoli.org

mercoledì 29 aprile 2009

CONTROVENTO - NUMERO 1 - APRILE 2009



(Clicca sulla copertina per scaricarlo in .PDF)





I VERI TERRORISTI - Mario Cecere

IL PERCHE' DI UNA SCELTA - Associazione Culturale Tyr Perugia

ESSERE UOMINI - Fabio Polese

PER IL LAVORO, PER LA PATRIA... - Associazione Culturale Tyr Perugia

GABRIELE SANDRI ASPETTA ANCORA GIUSTIZIA - Associazione Culturale Tyr Perugia




Per riceverlo cartaceo scrivere a: controventopg@libero.it


SCARICA STAMPA DIFFONDI!


Ventinove Aprile, gagliardetti al vento.

Il 29 aprile 1975, dopo 48 giorni di agonia, moriva a Milano il diciottenne Sergio Ramelli, massacrato da un collettivo di medicina composto da ricchi e viziati neopartigiani; aveva commesso un delitto imperdonabile: aveva affermato di credere nella libertà. L'annuncio della sua morte al termine di una straziante lotta in ospedale venne salutato da uno scroscio di applausi da parte dei consiglieri comunali di Milano, quel giorno in riunione. Uccidere un fascista non solo non era reato ma dava sensazioni forti ai borghesi annoiati e vigliacchi.



Esattamente un anno dopo, il militante del Msi, Enrico Pedenovi, veniva assassinato ad un semaforo, alla guida della sua macchina, da un commando di Prima Linea.



Il giorno seguente all'assassinio di Pedenovi nei pressi del liceo romano Azzarita vidi una scritta fresca sul muro “Il ventinove aprile gagliardetti al vento: è morto un camerata ne nascono altri cento!”



Chi l'aveva prodotta aveva risposto di certo a un impulso di rabbia e di rivalsa che fu indispensabile ma che poi, come difficilmente immaginava allora, si rivelò profetico.



Quella frase fu magica, non solo perché ci aiutò a recuperare i morale e il mordente per affrontare una guerra civile che, pur in netta inferiorità numerica, logistica e di spalleggiamento, riuscimmo a non perdere ma perché era verissima: come avremmo scoperto in seguito proprio in quei giorni nascevano centinaia di camerati e ne sarebbero nati in seguito centinaia e centinaia. Gli assassini invece sarebbero divenuti sempre più sterili.



Sergio ed Enrico, il nostro seme. Eterno!



Di Gabriele Adinolfi, www.noreporter.org

Forza Nuova sistema il verde pubblico. [Perugia]

I militanti hanno provveduto a ripulire Mantignana dall’erba alta. E lancia accuse di “grave incuria” al Comune.



All’opera Le piante selvatiche nasconderebbero anche rettili.



Forza Nuova Corciano protagonista di una nuova azione a Mantignana. Nella giornata di sabato scorso alcuni militanti hanno effettuato una iniziativa “tesa a dimostrare la sempre minore attenzione dell'amministrazione comunale alle esigenze dei cittadini”. Questo quanto dichiarato dai responsabili locali del movimento che hanno proseguito: “Ciò non riguarda solo quelle mancanze macroscopiche, come per esempio la fantasiosa assegnazione delle case popolari o degli asili nido, ma anche la semplice cura degli spazi verdi comunali, specialmente quelli a ridosso dei complessi residenziali. In seguito alla segnalazione effettuata da un residente di Mantignana durante lo svolgimento della passata manifestazione per la sicurezza, abbiamo provveduto ad un parziale taglio della vegetazione che cresce incontrollata a ridosso delle abitazioni di via dei Ciclamini. Il nostro interessamento si è reso necessario dopo la mancata risposta del comune alle numerose segnalazioni effettuate dai residenti preoccupati non solo per l'impatto estetico, ma e soprattutto, per la presenza di piante urticanti e rovi che imperversano nel marciapiede utilizzato dai bambini del quartiere. A ciò va poi aggiunta la paura di imbattersi in uno dei numerosi rettili che di quella zona hanno fatto la loro dimora. E' da circa cinque anni, epoca delle passate elezioni, che quella zona non viene curata dagli organi preposti. Il nostro gesto ha voluto giocare di anticipo nei confronti dell'amministrazione comunale che ‘probabilmente’ avrebbe provveduto alla sistemazione dell'area a ridosso delle elezioni. Il nostro è un invito rivolto ai cittadini a valutare l'operato dell'amministrazione svolto durante tutto il mandato e non tenendo in considerazione solo l'ultimo periodo di campagna elettorale. Forza Nuova ribadisce la sua vicinanza al cittadino e l'interesse a tutte le problematiche quotidiane piccole o grandi che siano, invitando tutti a segnalarci casi di degrado o malagestione”



Di Annalisa Bacelli, tratto da www.corrieredellumbria.it

domenica 26 aprile 2009

Viva la Resistenza!

Di chi la fa, tuttora, e contro gli invasori, non dietro di loro



25 APRILE. VIVA LA RESISTENZA !









Anche se non hanno alle spalle l'aviazione anglo-americana,

Anche se non hanno atteso la certezza dell'esito finale dello scontro per

addobbarsi da guerrieri,

Anche se non hanno acceso luci alle finestre per far bombardare le città

del loro Paese,

Anche se non hanno voltato la gabbana,

Anche se non hanno infierito sui ragazzini in divisa,

Anche se non si sono accaniti sulle donne dei nemici,

Anche se non hanno sepolto vivi migliaia di loro compatrioti,

Anche se non si sono alleati con finanzieri, massoni, mafiosi e

gangster....

....permetteteci di chiamarli resistenti.



201° Battaglione. Esercito di Liberazione Nazionale Karen.


Da sessant'anni. Vera resistenza.


www.comunitapopoli.org

venerdì 24 aprile 2009

N.A.T.O. per U.S.A.rci.

Sessant'anni fa, sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, nasceva la cosiddetta Alleanza Atlantica con l'asserito scopo di proteggere l'Europa dal pericolo comunista.



All'esaurimento della sua pretesa funzione, con il
discioglimento del Blocco Sovietico, la Nato continua a perseguire i suoi reali scopi e si rivela ancora una volta nella sua essenza di strumento militare della politica egemonica statunitense.



Procede infatti l'occupazione militare dell'Europa, il cui territorio è disseminato di basi militari di un esercito straniero, nonché l'attività volta a relegare gli stati membri e i loro eserciti al ruolo di semplici vassalli dell'imperialismo a stelle e strisce.



La
stessa politica imperialista che, esattamente dieci anni fa, ha insanguinato il suolo europeo con i bombardamenti su Belgrado, con il quasi totale appoggio della classe politica italiana, di governo e di opposizione, asservita e sottomessa agli interessi sovranazionali.



A tale atteggiamento servilistico è
dovuta l'odierna totale assenza di sovranità nazionale, che favorisce inevitabilmente i processi mondialisti di annullamento delle Identità dei Popoli.



Fuori la NATO dall'Italia!

Fuori l'Italia dalla NATO!



Associazione Culturale Tyr Perugia


controventopg@libero.it











PENSARE NEL MONDO GLOBALIZZATO? IMPRESA DIFFICILE.



Si sente spesso parlare ingombranti personalità di razionalità e di laicità. Legando la sfera politica a quella razionale, e secolarizzando il pesante bagaglio d'eredità lasciatoci da secoli di cattolicesimo potremmo dire "olistico", si è inseguita la chimera e la favola della separazione dualistica, in una linea di perfetta continuità con quanto sul piano spirituale aveva fatto il pensiero giudaico-cristiano (separando realtà sensibile e realtà oltre-sensibile). Non solo si è separato l'aspetto religioso ed etico, relegato frettolosamente alla sfera intima o privata, dall'aspetto politico e giuridico, impropriamente confuso con la mera dimensione pubblica, ma si è nei fatti posta la supremazia della ragione umana in un'ottica di misurabilità universale, e nel più generale ambito di una teleologia escatologica ad uso e consumo dell'uomo stesso. Non più Dio insomma, ma una nuova divinità dogmatica e autoreferenzialistica: la Ragione. Nel saggio dedicato alla parola di NIetzsche "Dio è morto", interno alla raccolta Holzwege - Sentieri erranti nella selva, Martin Heidegger osserva che "Non cominceremo a pensare finchè non capiremo che la Ragione, glorificata da secoli, è la più accanita avversaria del pensiero", proprio riferendosi a ciò che Nietzsche aveva intuito, capovolgendo la metafisica classica (attraverso la collocazione della volontà di potenza come essenza e dell'Eterno ritorno come modalità), pur non superandola. Quello che dà alla lettura del pensatore tedesco un nuovo e più ampio margine di attualità e ciò che indubbiamente pone Heidegger quale termine assolutamente primario per comprendere il pensiero continentale del Novecento, è la ricomprensione del nichilismo, dell'"ospite indesiderato", all'interno della metafisica stessa, che a sua volta viene ricompresa quale fenomeno destinale ed ontostorico nella vicenda dell'essere umano. Una decadenza in definitiva ricompresa nel ciclo storico che regola e governa la Natura, in quel ciclo, ossia, a sua volta obliato anch'esso, all'interno del più grande Oblio. Quella dimenticanza, cioè, riguardante la condizione umana di ente gettato nel mondo ed in ultima battuta riferita alla differenza ontologica tra Essere ed ente.Senza addentrarci troppo in questioni teoretiche, e restando all'interno della storia e dell'organizzazione societaria dell'uomo, possiamo notare che proprio quei termini che avevano contraddistinto la nascita della metafisica occidentale, il fine e l'oggetto, sono alla base di tutti i modelli fin'ora trionfanti nella società moderna. Il fine presuppone non solo la linearità storica in un'ottica palesemente escatologica che può indistintamente essere religiosa (pensiero giudaico cristiano come compimento salvifico) o sociale (marxismo come messianismo terrestre, idealismo come affermazione dell'Assoluto ecc...), ma anche la centralità dell'uomo nel suo luogo di transito. Il mito per cui questa Terra sia stata in qualche maniera creata (o sia da adibire) in funzione ed in completa relazione all'essere umano, e l'utopica illusione dell'universalità della ragione umana, conferiscono all'umanesimo moderno gli stessi termini antropocentrici di quelle religioni che aveva inteso contrastare nel nome di una laicità che nei fatti non esiste, poichè elimina lo scetticismo prezioso del dubbio critico (che era almeno indirettamente consentito dal carattere misterico-esoterico di certa parte della religione cristiana come di ogni altra forma di sacralità), ed impone sul piano mondano i dogmi dell'antropocentrismo.


Come disse Massimo Fini, in una sua pubblicazione ormai ultra ventennale, "la Ragione aveva torto", ed oggi ne vediamo le più palesi risultanze: l'uomo attraverso l'umanismo è insorto contro la natura e contro un ordine naturale che nessuno, nemmeno il più scettico ed "empio" degli antichi (basti pensare a Socrate e Platone), si era azzardato a negare e reprimere. Il carattere, forse mistico, ma indubbiamente ermeneutico, che emerge dal Mito della caverna di Platone, considerato tra i pionieri del pensiero moderno, ne è la più evidente prova. Non possiamo ottundere con il nostro metodo di ragionamento ciò che dialetticamente ci è dinnanzi, ma ontologicamente ci è ulteriore ed inattingibile. Il nostro linguaggio, quello migliore, cioè quello ermeneuticamente più calzante, quello poetico, è capace al più di alludere ad una serie di orizzonti semantici che possono rispondere all'interpellanza che ci viene da questo ordine naturale. E in un atto interpretativo contestuale nel quale sparisca qualunque categoria del tipo: soggetto e oggetto, causa e conseguenza ecc... categorie che la chiara aporia Kantiana ha evidenziato essere buone per noi, per il nostro comune vivere in società, per facilitare la nostra "maneggiabilità pratica", ma non certo per comprendere la struttura dell'uomo e del mondo. Il problema della metafisica, richiamato da Heidegger nel suo confronto Kantiano del 1928, è proprio quello dell'uomo contemporaneo: esaltare le categorie della ragione, ma non essere chiaramente capace di individuarne la fondazione. E, una volta individuatane una eventuale, si porrebbe sempre il problema della sua ulteriore fondazione, nella folle ed infinita corsa di un assoluto utopico contro il tempo e contro lo spazio, cioè, in una frenetica e folle riflessione contro noi stessi: contro la nostra condizione di enti, limitati nello spazio e nel tempo, destinati al perimento.



Oswald Spengler notando che "Ogni cultura ha un proprio criterio, la cui validità comincia e finisce con esso. Non esiste alcuna morale umana universale", ha chiaramente limitato la sua notazione al piano forse estetico della riflessione storica ed etnoantropologica, ma ha colto l'essenza del modernismo antitradizionale, esattamente nel suo assurdo assolutismo ottundente e ricomprendente qualunque tipo di pensiero, persino il più apparentemente opposto, al proprio fondamento interno: sono persino le sovversioni (e qui, sul piano politologico, ci corre in aiuto il belga Jean Thiriart) a risultare l'estremo più o meno conscio di una conservazione che, mira all'abbattimento delle mere forme del passato, senza minimamente intaccare l'essenza del presente, cioè la modernità coi suoi miti fasulli e con le sue utopie. E' questo il villaggio globale che omologa culture, popoli, specificità e peculiarità, distruggendo il concetto stesso di differenza, nel nome di un egualitarismo oppressivo, che partendo culturalmente dalle giuste rivendicazioni sociali e materiali delle classi più disagiate, ha poi ampliato il suo tiro e degenerato sino al proprio devastante penetramento all'interno di concetti teoretici e spirituali che non potevano chiaramente esserne coinvolti. Il livellamento ha colpito duro, ed ha schiacciato tutto, financo le gerarchie più naturali, vale a dire quelle orizzontali, quelle fisiologiche e lapalissiane che sancivano fedelmente la coesistenza e la convivenza delle differenze. Il linguaggio utilizzato dai media e dalla classe politica dominante è tutto indirizzato verso questa confusione semantica, e verso l'affermazione di un neoidioma semplificato e dimidiato da dare in pasto alle masse vuote ed insipide di sudditi/consumatori di questo Impero del Nulla, nel nome del profitto e della mercificazione di qualunque valore naturale, appiattito e svuotato, negato proprio nell'attimo del suo incrocio multiculturale, nel disastroso trionfante conformarsi (nel senso letterale di formarsi-assieme) degli uomini in una massa omologata e invisibilmente incatenata.


 

Wotan

mercoledì 22 aprile 2009

Discorso di Ahmadinejad - DURBAN II

Quello che segue è il discorso che il Presidente Iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha tenuto il 20 aprile alla conferenza sul  razzismo Durban II, tenutasi a Ginevra.

Signor Presidente, onorevole Segretario Generale delle Nazioni Unite, onorevole Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Signore e Signori:



Siamo qui riuniti per il proseguimento della conferenza di Durban contro il razzismo e la discriminazione razziale, per elaborare metodi pratici da adottare nelle nostre sacre campagne umanitarie.



Nel corso dei secoli trascorsi, l’umanità ha attraversato enormi sofferenze e dolori. Durante l’epoca medievale, filosofi e scienziati venivano condannati a morte. Poi seguì un periodo di schiavitù e di commercio degli schiavi. Milioni di persone innocenti vennero catturate, separate dalle loro famiglie, dai loro cari, per essere condotte in Europa e in America nelle condizioni peggiori. Si trattò di un periodo buio, fatto di occupazioni, saccheggi e massacri ai danni di quelle persone innocenti.



Dovettero passare molti anni perché le nazioni si risvegliassero per combattere in nome della loro libertà ed indipendenza, pagandole a caro prezzo. Milioni di vite andarono perse per cacciare gli occupanti e stabilire governi nazionali e indipendenti. Però i detentori del potere non impiegarono molto tempo ad imporre due guerre all’Europa, che afflissero anche parte dell’Asia e dell’Africa. Queste guerre orribili decimarono milioni e milioni di vite, lasciandosi dietro una massiccia devastazione. Fosse stata imparata la lezione impartita dalle occupazioni, dagli orrori e dai crimini di queste guerre, sarebbe spuntato un raggio di speranza per il futuro.



Le potenze vittoriose si atteggiarono a conquistatori del mondo, ignorando o calpestando i diritti delle altre nazioni attraverso l’imposizione di leggi oppressive e ordinamenti operanti a livello internazionale.



Signore e Signori, osserviamo dunque il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che è uno dei lasciti della Prima e della Seconda Guerra mondiale. Quale era la logica dietro la garanzia del diritto di veto per i suoi membri? Come può una tale logica soddisfare i valori spirituali e umanitari? Non parrebbe per niente conforme ai riconosciuti principi di giustizia, di eguaglianza davanti alla legge, dell’amore e della dignità umana? Non sembrerebbe piuttosto significare discriminazione, ingiustizia, violazione dei diritti umani o umiliazione della maggioranza delle nazioni e dei Paesi?


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martedì 21 aprile 2009

IL FUTURISMO, AVANGUARDIA DELLE AVANGUARDIE.

Il 20 febbraio del 1909 veniva pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti il “Manifesto del Futurismo“, era composto da undici punti programmatici espressi in altrettante frasi lapidarie che tracciavano le convinzioni artistiche, politiche ed intellettuali del movimento futurista. Il movimento marinettiano celebrò l’innovazione, il progresso e la tecnologia. Anche a Perugia, il futurismo, provocatorio e carico di idee rivoluzionarie, non tardò ad arrivare.



In questo anniversario importante, il centenario, incontriamo il Dott. Massimo Duranti, presidente dell’Associazione Culturale Archivi Gerardo Dottori che ci racconta come già all’inizio degli anni dieci del novecento, Gerardo Dottori, perugino, iniziò ad animare l’ambiente dormiglione della nostra città: “L’avanguardia artistica a Perugia – sottolinea il Presidente Duranti - e in Umbria si è incarnata in lui e nel suo gruppo. Molti lo hanno seguito aderendo al Futurismo - penso a Alessandro Buschetti, Leandra Angelucci Cominazzini, Giuseppe Preziosi e Vittorio Meschini - e partecipando alle numerose iniziative che lo videro protagonista lungo tutto il suo percorso artistico che si è snodato per più di mezzo secolo. Senza dimenticare la sua attività di docente per quasi trenta anni, caratterizzata da un magistero austero e non invadente. Come pittore d’avanguardia non era visto all’inizio di buon occhio dai benpensanti perugini, dopo la Seconda Guerra Mondiale fu emarginato, come tutti i futuristi, ma i suoi paesaggi, ormai stemperati degli eccessi aeropittorici, erano molto ammirati”.



Alla domanda se oggi a Perugia esiste un fermento paragonabile, il Dott. Massimo Duranti precisa: “Oggi l’individualismo fra gli artisti è più forte, non c’è un dibattito impegnato sull’arte e sulla sua funzione nella società odierna. Fermenti in realtà non ce ne sono molti neanche a livello nazionale. L’Accademia di Belle Arti di Perugia vive da qualche anno una stagione di gravi difficoltà economiche che si riflettono anche sulla capacità di provocare il dibattito”.





Nel 1997 al CERP della Rocca Paolina il Comune di Perugia organizzò una grande antologica di Dottori e nel 2004 è stata allestita, sempre dal Comune, la mostra delle opere del Maestro a Palazzo della Penna con contributi anche di collezionisti privati. “Il Comune di Perugia, - conclude Duranti - al quale Dottori donò nel 1957 alcuni capolavori, dopo una mostra formale di ringraziamento, per anni non lo tenne in nessuna considerazione, anche per motivazioni ideologiche, finendo i suoi quadri relegati e celati in un angusto spazio. Obiettivamente, dalla fine degli anni Settanta, dopo la morte dell’artista, ha messo in atto azioni di valorizzazione”.



In questi giorni, il Comune di Perugia in collaborazione con l’Associazione Culturale Archivi Gerardo Dottori, sta organizzando una serie di iniziative per il centenario che, per scelta, saranno celebrate in autunno con contenuti che spazieranno dal punto di vista delle arti visive, letterarie, cinematografiche e musicali; auspicando che, il movimento che fu avanguardia delle avanguardie trovi - finalmente -, anche nella terra di origine di uno dei suoi maggiori esponenti, la sua degna celebrazione.



Articolo di Fabio Polese, tratto da Perugia Free Press.

lunedì 20 aprile 2009

Tributo a Knut Hamsun.

Esiste un sortilegio che sospinge certi spiriti predestinati a scavarsi la fossa con le proprie stesse mani: in tempi a noi recenti questa eccezionale malìa fu individuata da un brillante studioso finlandese, Tarmo Kunnas, che ne mostrò la diffusione presso i più alti esponenti della cultura europea tra le due guerre mondiali nel libro La tentazione fascista, edito in Italia da Akropolis.  Kunnas pone una domanda fondamentale: «potevano uomini educati ad una concezione tragica ed eroica dell’esistenza, toccati dal relativismo morale nietzscheano, in rivolta contro lo spirito borghese del tempo, sottrarsi al fascino epocale di quel progetto di trasgressione dei valori meramente sociali e secolari che prometteva, nello sforzo colossale e solenne di una nazionalizzazione delle masse, cattedrali di luce e imperi per un nuovo millennio?»

Uomini come Céline, Drieu La Rochelle, Ernst Junger, Robert Brasillach, Carl Schmitt, Ezra Pound, Heidegger, Gentile, Knut Hamsun, a fine guerra dovettero pagare ai ‘buoni’ un alto tributo, che oggi consiste, per lo più, nel silenzio schiumante di rabbia dietro cui editori e critici ne seppelliscono l’opera e ne insozzano la memoria. L’ “errore” di questi viandanti solitari fu, invece, come viene suggerito dallo stesso Kunnas, quello di confondere una “visione del mondo con una politica”, così da esporsi al risentimento illividito delle stesse masse che essi avevano pensato di amare e di servire. L’idea di una palingenesi storica e addirittura cosmica era però condivisa e viva, a quei tempi, ed era coltivata non soltanto dalle élitesRichard Wagner teorizzò nel 1851, in Opera e dramma, che G.L. Mosse descrisse in testi fondamentali quali La nazionalizzazione delle masse e Le origini culturali del Terzo Reich, che Ernst Jünger intravide all’opera nella figura dell’Operaio, nella “uniformazione” del mondo compiuta dalla Tecnica. enz’altro Knut Hamsun, di cui quest’anno ricorre il 150° della nascita, «vide nel nazionalsocialismo una manifestazione della vitalità, di una possibile rinascita della civiltà occidentale minacciata da una democrazia plutocratica e da un comunismo tirannico. Come gli altri, egli ha sognato un nuovo sentimento della vita, autentico, antimaterialistico, che sapesse rispettare anche l’irrazionale e l’istintivo. Egli ha sperato che il fascismo riuscisse a ristabilire le gerarchie naturali, un modo di vita sano, rurale, naturale». Kunnas riconosce l’assoluta gratuità dell’adesione di questi scrittori ai fascismi. Come scrive Roberto Alfatti Appetiti su Area: «Di certo le simpatie hamsuniane per il nazionalsocialismo non furono motivate da ambizioni personali, nè dall’aspettativa di alcun tornaconto, come pure qualche impudente provò ad adombrare. Lo stesso Hamsun, presentandosi davanti ai giudici, rifiutandosi di avvalersi di un difensore e senza chiedere clemenza, l’affermò con forza: “Chi osa affermare che io, a quest’età, andassi alla ricerca di onori? Giovani giudici, che avete già pronunciato cinquantamila condanne per collaborazionismo, in una terra di tre milioni di abitanti, volete punire il vostro vecchio poeta nazionale?”». ma anche da larghi strati della popolazione europea dell’epoca.  Non poteva non generare, dunque, quelle aspirazioni che, dal connubio di politica e arte, esprimevano quelle esigenze ‘totalitarie’, assolute, rappresentate in Italia dallo stesso Futurismo e che, nelle liturgie  politiche di massa del Terzo Reich, riflettevano e enfatizzavano quell’abbattimento di confini tra le varie arti che 

E’ Adriano Romualdi a segnalare la tragica e fatale svista di Hamsun quale essa  emerge dall’ incontro di costui con Adolf Hitler:  «Una sola volta lo aveva incontrato e non gli era piaciuto troppo. Hitler gli aveva tenuto un lungo monologo su una grande ferrovia che intendeva costruire all’estremo Nord della Norvegia; ripeteva sempre “io, io“, ricordava Hamsun; no - non era così che se l’era immaginato». In tutto il suo crudo squallore non potevano meglio essere precisati i tratti plebei, i contorni utilitari e nichilistici assunti, nella modernità, dalla prassi politica comunque orientata. L’amore di Hamsun per il Nord, d’altronde, nulla aveva a che fare con le grevi ambizioni pangermanistiche hitleriane, mentre rivelava, piuttosto, la nostalgia e lo slancio verso forme più nude, libere e solari di esistenza. Così, la stessa adesione al movimento di Quislingil popolo minuto, la gente più umile“, spesso ritratta romanticamente ma con rara delicatezza poetica. avvenne certo come riflesso per l’innata stima da Hamsun sempre nutrita verso la cultura germanica, ma soprattutto per alleviare ai propri connazionali le conseguenze amare di una Patria sotto occupazione, oggettivamente a rischio, e che proprio grazie all’autorità indiscutibile di cui Hamsun godeva presso la cultura tedesca del tempo, non subì grave oltraggio. Perchè Hamsun, premio Nobel nel 1920 per la letteratura, dopo una giovinezza tormentata che lo spinse ad emigrare in America  e quasi a morirvi- a ventitrè anni - di tisi e di fame, filosoficamente diffidente verso  i regimi democratici e liberali di matrice anglosassone, amava, più di ogni altra cosa, “



Come nota Alfatti Appetiti, non v’è modo migliore per conoscere Hamsun che ripercorrere le vite ribelli, delicate, orgogliose e fragili dei personaggi della sua opera. Che risuscita tutto un mondo preindustriale ancora libero e immune dalle ideologie moderne e dalle allucinazioni da queste dispensate, abitato per lo più da solitari uomini di avventura e di contemplazione, appesi tra il fruscìo della foresta e le onde lucenti dei fiordi del Nord.



Uomini forti inclini all’amore ed esposti alle sue fatali conseguenze, più che ai calcoli del senso pratico e delle “opportunità” misurate in base alle convenienze: «sono sognatori, uomini selvatici e primitivi, sinceri, imprevedibili, alteri e beffardi, impulsivi e capricciosi, irrequieti, lunatici, infantili, dei veri vagabondi animati dalla volontà di liberarsi dalla civiltà moderna».  Riemergono, qui, forze primigenie e reminiscenze arcaiche, mitiche, rupestri, sorgive: sono  “dèmoni del sangue e della terra” che prendono consistenza di carne e spirito nelle figure hamsuniane.



Thomas Mann,  suo fervente discepolo, cosi’ ne consacrava l’universo poetico: «I suoi libri sono pieni di tutti gli allettamenti, le accortezze tecniche, le intensità poetiche e gli intimi turbamenti che formano il segreto e l’amabile fascino dell’opera di Hamsun, un’arte che mescola un’estrema raffinatezza con la semplicità delle origini, e che - da un punto di vista letterario- si avvale d’influenze russe e americane per una personalissima sintesi, ma che pur in un contesto di estrema civilizzazione, custodisce gli elementi dell’antica tradizione del suo popolo, della arcaica poesia nordica, dello spirito aristocratico delle saghe».



L’avvilente persecuzione politico-giudiziaria subita da un Hamsun oramai vecchio e semicieco, sordo e sofferente, lo trovò, comunque, “forte e degno” nello spirito, pronto a tener testa, fino alla fine, agli zelanti inquisitori che ne tramavano la caduta più umiliante. Dopo anni di sevizie che non si seppe arrestare, pur dinanzi all’evidente innocenza ed estraneità dello scrittore a tutti i ‘crimini’ imputatigli, medici ed aguzzini riuscirono persino ad oltraggiarne il ricordo dell’amata moglie. Come Drieu, Hamsun aveva sognato per l’Europa un destino diverso da quello proprio all’Occidente mercantile e la  medesima vocazione ’sacrificale’ accomuna così, in una passione eretica, i destini di quegli intellettuali europei tra le due guerre che “col sangue e con l’inchiostro” pensarono di redimere la ‘Storia’ dalle viltà del presente.


Così Adriano Romualdi, nella pregevole prefazione a Io, traditore, rende un ultimo sguardo alla vita del grande vecchio: «Hamsun venne condannato a una pena pecuniaria che rappresentava la sua rovina economica. Era un proscritto. I norvegesi passavano accanto alla sua casa e gli gettavano pacchi di suoi libri nel giardino. Per tutta la sua vita li aveva accusati di essere provinciali, borghesi, indegni di quei Vichinghi dai quali discendevano. Ora si vendicavano di lui. Knut Hamsun morì il 19 febbraio 1952».



Articolo di Mario Cecere, tratto da www.mirorenzaglia.org

mercoledì 15 aprile 2009

CON I FRATELLI ABRUZZESI, PER RICOMINCIARE.




La terra trema, tutto intorno a te si sposta e tu, impossibilitato ad intendere, ti svegli con un sussulto. E’ vero, in quei pochi secondi è impossibile capire quello che sta succedendo e non si può far nulla se non aspettare che il tutto finisca e che finisca al più presto. Ma ora, a terremoto apparentemente finito,  di cose da fare ce ne sono e tante.




Così Lunedi di Pasquetta, insieme ai ragazzi di Forza Nuova Perugia, parto alla volta delle terre abruzzesi per poter portare il materiale raccolto sin da Mercoledi e soprattutto per poter portare uno spiraglio di luce alle persone che sono state colpite così duramente.


Sveglia alle 04.00 di mattina, c’è ancora da impacchettare gli ultimi scatoloni e sistemarli nei furgoni e via, si parte. Il viaggio scorre, il tempo non aiuta, piove, ma nonostante questo non vediamo l’ora di arrivare a destinazione. Man mano che ci avviciniamo iniziamo a vedere subito che c’è movimento, è pieno di Protezione Civile e di Associazioni di solidarietà ed intorno si iniziano a vedere le prime macerie e le prime tendopoli. Le immagini fanno rabbrividire. Visitiamo e portiamo aiuti in diversi campi, compreso quello accanto alla stazione di l’Aquila. 


La mia attenzione però, si sofferma soprattutto su uno. Siamo vicino all’epicentro del terremoto, un paesino quasi sperduto che per arrivarci percorri una stradina stretta e di campagna. Appena arrivati, la gente inizia subito a salutarci e a ringraziarci prima ancora che gli avessimo dato qualcosa. Scarichiamo qui tutto quello che gli poteva servire e passiamo una ventina di minuti con loro, ci offrono caffè e colomba e, scambiandoci quattro chiacchiere, ci fanno subito capire che sono forti e che non vedono l’ora di rialzarsi dalle macerie. 


Continua a piovere e noi abbiamo altre tendopoli da aiutare, così ci salutiamo con la promessa che torneremo presto a trovarli e che gli porteremo non solo beni di prima necessità ma aiuti fisici e morali. La giornata scorre, si visitano altri campi e finito il materiale raccolto, ci rimettiamo in viaggio per Perugia.


Un giornata doverosa che, senza slogan, continuerà senza sonno finche i fratelli abruzzesi ne avranno bisogno.



Controvento





Le foyer du soldat in pillole. [Aprile 2009]

A cura di Mario Cecere, per ordinazioni: controventopg@libero.it











Louis-Ferdinand Céline, Bagattelle per un massacro, Ristampa anastatica dell'edizione Corbaccio del 1938 a cura delle edizioni di Ar, Padova, 2008




"Se avessi dovuto fare il mercante di schiavi, non avrei scritto Une saison en enfer; avrei scritto direttamente Bagattelle per un massacro": nell' 'autografia di un ritratto' che ne introduce l'Opera omnia, Carmelo Bene suggerisce quasi un'affinità 'destinale', più che semplicemente letteraria, tra Rimbaud e Louis-Ferdinand Destouches, in arte Céline. Una recente biografia del nobile medico  e scrittore francese, curata da Marina Alberghini, ne dà forse ragione: " In effetti Céline -viscerale, magmatico, assetato di martirio- bastian contrario sempre controcorrente, era un capro espiatorio ideale: per quanti s'erano compromessi con Vichy e per quanti avevano aderito acriticamente al comunismo sovietico. Lo stesso Sartre, che dopo la guerra accusò ingiustamente Céline d'essere stato pagato dai nazisti (quasi mettendolo a rischio della sua stessa vita, Nda) durante l'occupazione era legato ad una rivista collaborazionista. Ha buone ragioni la Alberghini nel sostenere che Céline, "comunista d'animo", come si autodefiniva, pagava anche la colpa di avere denunciato lo stalinismo già dal 1936: "Tutto è polizia, burocrazia e caos infetto". In Bagattelle per un massacro, libro empio e fatale al suo stesso autore, la fosforescenza luciferina del genio céliniano deflora senza pietà non tanto le strutture grammaticali quanto le categorie mentali e il lessico morale che saturano il vero protagonista dell'epopea moderna: l'individuo borghese, còlto qui sotto le spoglie tartufesche e disarmanti dell'adulatore provetto del vitello d'oro israelitico. Céline marchiato e dileggiato come un cataro sprovveduto dagli scheràni del cartesianesimo ideologico -come  Drieu, come Brasillach, come Hamsun, come  tutti gli 'agenti doppi' del secolo dove Dio è morto: creature non tanto 'inattuali', col rischio di essere compresi da un volgo postumo, quanto mai in atto nella Storia; Céline, cataro d'animo, celebra l'essiccamento di ogni focolaio infettivo contratto dalla carne sotto specie di 'ideale' o di fisima umana: in quest' opus purgationis, l'ultima fibrillazione dell' Occidente.



 



Pierre Drieu La Rochelle, L'agente doppio, Ar, Padova, 2002



"Il protagonista del racconto è una spia russa. Non tradisce per denaro, per paura, per scambio di favori. Ma per vocazione: per una sorta di inusitata vocazione. Nessun idealismo condiziona la scelta dell'agente russo, nessuna bandiera di colore opposto, ma il fastidio verso ogni tipo di 'colore', tinto come esso è da una fantasia per ceto medio, sintomo del suo sciatto negligente vizio di esigere, sopra tutto, la classificazione". Il senso ed il 'valore' non risiedono nelle giustificazioni che l'uomo di volta in volta fornisce alle proprie azioni; piuttosto, si tratta del balenare, presso la banalità del quotidiano conflitto per la sopravvivenza, di forme assolute, di uno stile impersonale, "che non può essere misurato secondo schemi generici di utilità, ossia verificando la riuscita di un progetto, deducendone così l'efficacia. Sta un passo oltre il tempo, fuori per sempre dalle angustie di causa ed effetto." Sempre nelle parole di Anna K. Valerio: "Ne stiamo parlando qui perchè è l'Onore ciò che salda i due lembi, che congiunge i due labbri dell'anima divaricata della spia. E trasforma infine in rivolta -in creazione, in vita che si rinnova e vince sulla sua avversaria- la congestione novecentesca della negazione."



 



Antonio Venier, Il disastro di una nazione - saccheggio dell'Italia e globalizzazione, Ar, Padova, 2000, con una Presentazione di Bettino Craxi





Il testo costituisce un' inquadratura tuttora valida per la comprensione delle trasformazioni  e delle dinamiche che, imposte al nostro Paese da entità parassitarie apòlidi, sono oggi veicolo di tremenda propagazione di una 'crisi' che esorbita le dimensioni dell' economico per proiettare le ombre di una decadenza spirituale inarrestabile. Gli anni dal 1992 al 1998, quelli, per intenderci, di "Mani Pulite", "vanno compresi nella considerazione del perverso disegno globale del mondialismo, del mercato totale senza limiti nè scopi".  Il Trattato di Maastricht, le grandi "privatizzazioni", la demolizione dei servizi pubblici, infine l'attacco allo Stato sociale: per potere realizzare senza indugi tali progetti occorreva liquidare una classe dirigente non unilateralmente prona agli interessi finanziari antinazionali. Ecco allora delineata la genesi del calvario mediatico giudiziario che oggi è l'arma prediletta dai poteri sovranazionali anche per dirimere e dissovere 'resistenze' dei poteri locali in campo internazionale. L'oscura figura del  magistrato forcaiolo molisano campeggia in tutta la miseria che lo porterà al delirio populistico e alla arroganza demagogica in un Paese oramai costernato.



 



 



Selene Calloni, Il mito del superuomo da Nietzsche ad Aurobindo, Magnannelli, Torino 2004



 

"L'Autrice invita all'esperienza della libertà dalla paura seguendo un cammino nel tempo e nello spazio che ritrova in Nietzsche e in Aurobindo, nelle demonesse tantriche e nell'alchimia greco-egiziana, in Occidente e in Oriente, il piacere di pensare per la vita e di fare del pensiero il mezzo della libertà dal conosciuto. Questo libro segna decisamente l'esperienza dell'autrice come un cammino tra Oriente e Occidente, che è ben diverso da un semplice confrontare o accostare visioni e tradizioni, ma il cui valore si rivela nell'ipotesi secondo la quale, per trovare una rinascitadecadenza, allo spirare di un ciclo, sia necessario passare non solo più attraverso la Grecia, com'è stato nel Rinascimento trascorso, ma anche attraverso l'Oriente."