lunedì 29 giugno 2009

NON E' FINITA ! I KAREN ATTACCANO. AVANTI TUTTA!

ESERCITO DI LIBERAZIONE KAREN CONTRATTACCA NELLA ZONA DI MU AYE PU. ASSALTATE DUE BARCHE DI PARTIGIANI MONDIALISTI SUL FIUME MOEI. UCCISO L'ASSASSINO DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA KNU, PADOH MAHN SHAH.



A dispetto di chi parlava di una Fort Alamo Karen, riferendosi alla situazione di estrema difficoltà in cui si trova l'Esercito di Liberazione in questi giorni di offensiva birmana, i volontari del KNLA hanno colpito duramente i partigiani al soldo degli occupanti mondialisti, dimostrando di essere tutt'altro che finiti.

Due barche del Democratic Karen Buddhist Army sono state assalite da un reparto della resistenza patriottica mentre risalivano il fiume Moei, a poca distanza dal villaggio di Mu Aye Pu, occupato nei giorni scorsi da birmani e collaborazionisti. Il bilancio dello scontro è di 11 partigiani uccisi. I volontari dell'Esercito di Liberazione non hanno subito perdite. Il Colonnello Nerdah Mya ci ha confermato che tra i partigiani morti vi è anche l'uomo che nel febbraio del 2008 aveva ucciso nella sua abitazione di Mae Sot, in Thailandia, il Segretario Generale dell'Unione Nazionale Karen, Padoh Mahn Shah. Probabile che l'imboscata alle imbarcazioni avesse proprio come scopo la punizione dei rinnegati che avevano colpito il leader Karen.

Lo scontro tra il KNLA, gli occupanti e i loro cani da guardia, si fa sempre più duro in questi giorni nel distretto di Pa-an. E spesso sconfina in Thailandia. Ieri due simpatizzanti dell'Unione Nazionale Karen sono stati assassinati da killer del DKBA nei dintorni della cittadina tailandese di MaeSalit. E dopo l'operazione condotta contro le imbarcazioni dei partigiani, ora si temono nuove rappresaglie nei confronti dei membri della resistenza Karen e dei loro familiari. Ancora una volta i partigiani mostrano il loro vero volto: quello di assassini prezzolati al soldo dell'esercito occupante e delle organizzazioni di narcotrafficanti.Abbiamo per molto tempo sperato di poter ricucire i rapporti con i nostri fratelli Karen che sbagliando erano passati alle dipendenze dei birmani - ha dichiarato un ufficiale dell'Esercito di Liberazione coinvolto nei combattimenti di ieri -  e abbiamo sempre teso la mano a chi dimostrava di voler tornare a lavorare per la libertà della nazione Karen. Ma ora è arrivato il momento di colpire esemplarmente quelli che tradiscono il loro popolo, quelli che vendono i loro fratelli per ragioni di business e di interesse personale. Nessuna pietà per i rinnegati.



www.comunitapopoli.org

giovedì 25 giugno 2009

UN AIUTO CONCRETO.

E' quello che serve per garantire un futuro al popolo Karen.

 


































Le “energiche” pressioni degli organismi internazionali sul regime birmano affinché sospenda l’opera di repressione contro il popolo Karen hanno prodotto i risultati previsti. Con la consueta, totale indifferenza nei confronti di appelli e raccomandazioni provenienti dalle assemblee del Palazzo di Vetro e di Strasburgo, i generali birmani  hanno intensificato le operazioni militari nello Stato Karen, travolgendo la 7° Brigata dell’Esercitodi Liberazione e provocando la distruzione di villaggi, ospedali, scuole.6.000 civili hanno precipitosamente lasciato l’area dei combattimenti, concentrati neldistretto di Pa-an, hanno attraversato il fiume Moei raggiungendo la riva tailandese, e vivono ora senza alcun sostegno in rifugi di fortuna. Le autorità tailandesi hanno già intimato ai profughi di rientrare immediatamente in Birmania: se questo rientro avvenisse, i civili sarebbero esposti alle violenze dell’esercito di occupazione e dei suoi cani da guardia, le milizie di narcotrafficanti Karen che hanno stretto patti con la giunta militare. Questi partigiani, servi degli occupanti, aguzzini del loro stesso popolo, catturano i civili per costringerli a trasportare armi e munizioni per conto dell’esercito birmano, e sempre più numerose sono le segnalazioni dell’utilizzo dei profughi come “sminatori” forzati, costretti a camminare davanti alle colonne di soldati per far brillare i numerosi ordigni nascosti nel terreno. Qualche giorno fa, due giovani donne Karen erano state violentate ed uccise nel villaggio di Kwee Law Plo dai soldati di Rangoon nel pieno dell’offensiva contro Pa-an. Naw Pay, 18 anni, era all’ottavo mese di gravidanza. Naw Wah Lah, 17 anni, era madre di un bambino di sei mesi. I soldati responsabili dei delitti fanno parte del 205° Battaglione di Fanteria Leggera, guidato dal Tenente Colonnello Than Hteh e dal Capitano Kyi Myo Thant. Paradossi apparenti di prove di democrazia: nel 2010 il regime birmano ha promesso elezioni politiche. Sebbene vincolata da decine di condizioni che non permetteranno in alcun modo di estromettere i militari dalla vita politica del paese, la “competizione elettorale” sembra aver messo il prurito ai democratici del globo. Si guarda con ottimismo alla possibile evoluzione del paese delle mille pagode. Così, diventa imperativo per la gerontocrazia corrotta di Rangoon, amica di Cinesi, Israeliani, Indiani e di manager incravattati di centinaia di aziende occidentali, disfarsi delle ultime sacche di resistenza, che potrebbero un domani guastare l’immagine di un paese avviato verso l’apertura ad un sistema multipartitico.





Ancora una volta lanciamo un appello ai nostri sostenitori perché ci facciano arrivare il loro concreto aiuto economico: ogni donazione sarà utilizzata interamente per acquistare generi di prima necessità per i profughi che hanno dovuto abbandonare i villaggi. Questo genere di aiuto incide direttamente sulle capacità di lotta dei patrioti Karen: non dovendosi preoccupare dell’emergenza profughi, l’organizzazione della resistenza potrà utilizzare le risorse così risparmiate per procurare ai suoi volontari rifornimenti per continuare a contrastare l’offensiva in corso. L’ipocrisia non ferma i fucili degli occupanti, nell’infamia dei partigiani. Chi crede al diritto di difendere il proprio paese, i propri figli e le proprie donne non ha che una scelta.





www.comunitapopoli.org





L'Associazione Culturale Tyr Perugia ha organizzato per domani sera una cena benefit per la Comunità Solidarista Popoli, tutti i proventi verranno inviati a loro. Chiunque fosse interessato può scriverci a: controventopg@libero.it

mercoledì 24 giugno 2009

Il Panottico.

Le società occidentali dispongono oggi di strumenti di sorveglianza e di controllo che i regimi totalitari di un tempo avrebbero soltanto potuto sognare. E li usano ogni giorno un po’ di più. Questa sorveglianza viene ad aggiungersi al “politicamente corretto”, che cerca di imporre le sue norme all’opinione pubblica tramite l’impiego di parole imposte a tutti, al “pensiero unico”, che tende a sostituire al dibattito il sermone, all’invadente igienismo, che mira a regolare le abitudini in nome del Bene, alla regolamentazione delle preferenze e delle predilezioni, che va direttamente contro la libertà di espressione, ed infine alla propaganda, che oggi viene chiamata pubblicità. In questi ultimi anni, la sicurezza è diventata una preoccupazione politica essenziale. Soddisfare tale preoccupazione senza mettere in pericolo le libertà è un problema che non data da ieri. All’interno della “società del rischio”, l’insicurezza reale o presunta genera un clima di incertezza e di paura che è in grado di far nascere ogni tipo di ossessione. L’apparato di rassicurazione utilizza questo clima per mettere sotto controllo la società. Scomparsi i totalitarismi classici, fanno la loro comparsa altre logiche, più sottili, di servitù e di dominio. Esse assumono la forma di un complesso ingranaggio di proibizioni e regolamentazioni, che si legittimano attraverso onnipresenti minacce. I pretesti sono sempre eccellenti: si tratta di lottare contro la delinquenza, di vigilare sulla nostra salute, di aumentare la sicurezza, di controllare meglio l’immigrazione illegale, di proteggere i giovani, di lottare contro la “cybercriminalità” e via dicendo. L’esperienza tuttavia dimostra che i provvedimenti adottati all’inizio nei confronti di un piccolo numero di persone vengono sempre poi estese all’insieme dei cittadini. Una volta ammesso il principio, non resta che generalizzarlo. Scrive il filosofo Giorgio Agamben: “Da alcuni anni si cerca di convincerci ad accettare come dimensioni umane e normali della nostra esistenza prassi di controllo che erano sempre state considerate eccezionali e tipicamente inumane”. Il problema è che, per garantirsi la sicurezza, gli uomini sono stati in ogni epoca pronti ad abbandonare le loro libertà. La “lotta contro il terrorismo” è, da questo punto di vista, esemplare. Essa consente di instaurare su scala planetaria uno stato di eccezione permanente. Negli Stati Uniti, gli attentati del settembre 2001 hanno avuto come conseguenza diretta enormi restrizioni delle libertà pubbliche. Quel modello si sta generalizzando. A causa della sua virtuale onnipresenza, il terrorismo provoca paure particolarmente redditizie e sfruttabili. Contro il nemico invisibile, la mobilitazione non può che essere totale, dato che in una simile situazione tutti sono immancabilmente sospettabili. La lotta contro il terrorismo permette ai poteri pubblici di imporsi sulla propria società civile perlomeno tanto quanto sui propri nemici designati. Al di là della sua realtà immediata, il terrorismo può perciò essere definito come un fenomeno generatore di un terrore convertibile in un capitale politico che profitta, più che ai suoi artefici, a coloro che se ne servono come di uno spauracchio per condizionare e mettere la museruola ai loro stessi concittadini.

Le democrazie liberali, ostili ad ogni opacità sociale, si sono date un ideale di “trasparenza” che può essere realizzato soltanto attraverso la suddivisione a scacchiera della società per tenerla sotto stretto controllo poliziesco. La società si trasforma allora in un bunker protetto da tesserini magnetici, codici di accesso, telecamere di sorveglianza. La moltiplicazione degli spazi privativi, sempre a fini di sicurezza, li sottrae al flusso sociale e finisce col far scomparire il concetto stesso di spazio comune, che è lo spazio della cittadinanza. Entra così in funzione un Panottico ben più temibile di quello previsto da Jeremy Bentham, ma la cui funzione è la stessa: vedere tutto, sentire tutto, controllare tutto. All’interno di una società di assistenza generalizzata, in cui ormai i problemi sociali hanno a che vedere soltanto con la “cellula di assistenza psicologica” e la sciocca ossessione del “dialogo” fa credere che, attraverso la discussione, tutto sia negoziabile e possa trovare una soluzione, l’imposizione della conformità – o, come la chiama Xavier Raufer, della “monocromia” – avviene nel mondo in cui, in informatica, viene operata la formattazione di un disco duro, in maniera tale da fargli accettare una sola categoria di software o di programmi. Di conseguenza, è più facile capire perché l’ideologia dominante parla più volentieri di diritti che di libertà, dal momento che l’instaurazione di un nuovo diritto si accompagna inevitabilmente a un controllo illimitato della sua applicazione.

La figura che la società di mercato cerca di promuovere è quella dell’eterno adolescente, in preda a una dipendenza da consumo permanente: le merce come droga. Economia pulsionale, nella quale l’energia è riconvertita in puro movimentismo, in semplice capacità di distrarsi. Questo divertimento, nel senso pascaliano del termine, si apparenta a una diversione. Distoglie dall’essenziale, contribuendo all’espropriazione dell’Io. Fare paura da un lato, divertire dall’altro, cioè condurre a distogliere dall’essenziale, impedire che si possa riflettere o dare prova di spirito critico. Fare di tutto affinché le persone producano e consumino, senza interrogarsi su qualcosa che si collochi al di là delle loro preoccupazioni e dei loro desideri immediati, senza mai impegnarsi in un progetto collettivo che possa renderli più autonomi. La società, resa docile in questo modo, diventa quel “gregge di animali timidi e industriosi” di cui parlava Tocqueville. È l’ideale dell’allevamento di volatili in batteria.

Il fatto più significativo è la correlazione osservabile fra la perdita di autorità e l’obsolescenza politica dello Stato nazionale e il rafforzamento del suo apparato repressivo. Nel momento stesso in cui si disimpegna progressivamente dall’ambito economico e sociale, lo Stato legifera e controlla sempre più i suoi cittadini. Il vantaggio, per lui, consiste nel fatto che, in materia di sicurezza, non è tenuto ad un obbligo di conseguimento di risultati. O per dirla ancora meglio: il suo interesse sta nel non ottenerne troppi, perché è così che può giustificare la pretesa di rendere permanenti le sue politiche di controllo e di sorveglianza: “Non si rinnova la fiducia ad un governo che predica il tutto-per-la-sicurezza perché è riuscito a ridurre l’insicurezza. Gli si rinnova la fiducia perché l’insicurezza persiste”, ha scritto Percy Kemp. Il vero scopo non è dunque tanto sopprimere l’insicurezza, che è pane benedetto per coloro che ne approfittano, bensì mantenerla, così da rendere possibile l’applicazione di una sorveglianza sempre più generalizzata.

Si tratta, in fin dei conti, di creare un caos latente che, senza oltrepassare una certa soglia, sia sufficiente ad inibire ogni velleità di reazione collettiva. La stessa tattica la si osservava ieri contro le “classi pericolose”, con l’obiettivo inconfessato di eliminare i devianti, i sostenitori di un punto di vista discordante. Oggi sono gli stessi popoli che, agli occhi della Forma-Capitale e delle oligarchie regnanti, sono diventati nel loro insieme la “classe pericolosa”. Sono i popoli i soggetti che vanno addomesticati. Per impedire loro di elaborare progetti collettivi di emancipazione e di autonomia, basta far loro paura. A questo serve il Panottico. Diceva Péguy: “Quando non è il martirio fisico, sono le anime che non riescono più a respirare”.



Articolo di Alain de Benoist, tratto da: www.ariannaeditrice.it

domenica 21 giugno 2009

Somenthing isn’t going on.

Finanza, Sindacati, Lavoratori, Stato, chi sono i responsabili della crisi?





Siamo a Londra nel cuore della Finanza mondiale, proprio nel periodo in cui si avverte pesantemente la crisi prodotta dall’economia speculativa dei titoli americani tossici, che si è cercata di tenere segreta per molto tempo, ma che per i risvolti sfavorevoli causati alla gente comune non si può più tacere. In un giornale londinese Lite che è distribuito gratuitamente ai lettori, viene pubblicata un’ agghiacciante statistica che, plasticamente, rende palesi gli effetti negativi della crisi prodotta dalla finanza “creativa”: “In Gran Bretagna si perde un posto ogni 30 secondi e si è raggiunta una della più alte percentuali di disoccupazione della storia di questa nazione”. Tendenza confermata purtroppo anche da altri paesi europei e in Italia, nonostante le nostre banche siano state le meno esposte e le più solide. Per cui la crisi si riverbera pesantemente in maniera particolare sulle classi sociali umili e fa scivolare la classe media verso la soglia di povertà. Anzi noi italiani secondo la confcommercio corriamo il rischio, molto concreto, di vedere il nostro potere d’acquisto ridotto addirittura ai parametri del 2001. Una deriva disastrosa che ci riporterebbe indietro economicamente e farebbe svanire in un attimo 10 anni di conquiste salariali. Senza poi contare che, mancando alle famiglie le disponibilità economiche, vi è stata una pericolosa, quanto necessaria, contrazione dei consumi e, non girando la moneta, all’aziende mancano le entrate e la liquidità, per cui, aumentano le loro passività e gli indebitamenti. Infatti, quasi tutte le imprese stanno passando un periodo di grande sofferenza e si vedono costrette a licenziare, a rischiare di fallimento, oppure, nei casi estremi, a chiudere l’attività. Il quadro è inquietante e se vogliamo difficile e se non si pone rimedio subito a questa deriva, le ricadute sociali potrebbero essere gravi e le conseguenze imprevedibili. Il 2009, dopo il 1789 (rivoluzione francese e caduta delle monarchie), 1989 (caduta del muro di Berlino e del comunismo), segna, nei fatti, la caduta del mercato finanziario e del capitalismo speculativo e globale. Siamo ad una tragica, evidente contraddizione economica delle democrazie occidentali: il capitalismo basa tutta la sua teoria sull’asse produzione-vendita-profitto, in parole povere sul consumismo, ma, allo stesso tempo, restringe anzi toglie gli strumenti per consumare e le fonti di reddito (lavoro) alla gente. Il risultato è meno consumo, meno produzione, meno lavoro, meno profitto, proprio l’esatto contrario di quello che il capitalismo afferma. Ma il dato inquietante è un altro, la maggior parte dell’Umanità soffre e diventa più povera , mentre una ristretta cerchia di super capitalisti si arricchisce a dismisura sulla povertà altrui. Di più lo Stato non può e non vuole far nulla contro questo turbo  capitalismo apolide. Inoltre, cosa assurda, gli economisti che hanno prodotto un sistema economico usurocratico che, di fatto, ha fortemente ridotto e penalizzato le capacità d’acquisto e il lavoro delle persone, non pagano con la dura galera l’enorme disastro sociale che hanno prodotto, anzi sono ancora tutti liberi e, per premio, saranno gli stessi che determineranno gli assetti economici futuri e il nostro destino. Colpa della politica che ha permesso che l’economia prendesse il sopravvento  su di lei e come diceva Pound che i politici diventassero i camerieri dell’alta finanza. Infatti oggi l’agende politiche vengono programmate e dettate dai poteri forti, da gruppi finanziari defilati, dalle multinazionali, dalle commissioni, dalla confindustria e via dicendo. Piano, piano, nel nome del progresso, della democrazia e dell’economia si è ridotto, fino a renderlo nullo il peso contrattuale dello Stato e dei Sindacati. In realtà in Italia si è passati dalla carta del lavoro del 1927 con l’obbligatorietà della stipula di Contratti nazionali collettivi di categoria e della maggioranza dei contratti di lavoro a tempo indeterminato, alla realtà del terzo millennio con contratti non più nazionali e collettivi e di lavoro a tempo parziale, al precariato. Che limita fortemente la prospettiva sociale e familiare del futuro dei lavoratori. In pratica, sono stati scientificamente spogliati del loro grande potere ma anche lo Stato e i sindacati, colpevolmente, si sono fatti togliere il loro ruolo di garanti di un politica sociale garante dei giusti diritti dei lavoratori. Inoltre, per completare l’opera, i grandi speculatori finanziari sono diventati gli editori dei più importanti mezzi di comunicazione mondiale, dirigendo così, fino a manipolare a loro vantaggio, l’informazione. Un escursus storico e una premessa necessaria per comprendere meglio con i fatti il quadro generale della situazione in atto. Un esempio lampante di conferma che quanto sopra esposta risponde a verità, ci viene dalla visita che ho fatto a Londra con il sindacato dei giornalisti (National Union of Journalist). In pratica questo sindacato di categoria conta 38.000 iscritti ma concretamente è senza potere in quanto Margaret Hilda Roberts in Thatcher mise in pratica i dettami del turbo capitalismo con una sferzata a favore del mercato a discapito dei diritti dei lavoratori. Infatti, “la donna di ferro” approntò un programma economico secondo i rigido principio dell’ultra capitalismo; un mercato del lavoro senza vincoli: disoccupazione, Privatizzazioni, flessibilità nel mercato del lavoro, riforma pensionistica, liberalizzazione dei servizi pubblici: il Paese ha bisogno di mercato. Il Governo inglese guidato dalla Thatcher favorì a dismisura le privatizzazioni che sono state il capitolo più famoso e nefasto della politica economica della Thatcher. Un'uscita radicale dello Stato dall'economia: furono cedute ai privati le industrie automobilistica, aerospaziale, estrattiva, meccanica, elettronica, dello zucchero, dell'acciaio, cantieristica e petrolifera. Lo stesso si fece con servizi pubblici quali aeroporti, linee aeree, ferrovie, telecomunicazioni, elettricità, porti, gas, distribuzione dell'acqua e trasporti su strada. Inoltre, in soli quattro anni, il Governo Thatcher vendette quasi 600.000 unità immobiliari di enti locali e incoraggiò tutti i ministeri ad affidare ai privati, scelti con procedure concorrenziali, la fornitura di servizi. Le privatizzazioni dei servizi pubblici finalizzate a liberalizzare i mercati: in sei anni venne completamente ridefinito il quadro giuridico e regolatorio. Contemporaneamente alle privatizzazioni si operò una massiccia liberalizzazione del mercato del lavoro: in otto anni si ridussero i sussidi di disoccupazione, si limitò il diritto allo sciopero, si tolse l'obbligo di negoziazione sindacale dei contratti collettivi di lavoro. Ricette economiche devastanti proseguite e peggiorate anche dai governi successivi. Oggi il risultato sociale che ne deriva, ci tengo a ribadirlo, è distruggente: si licenzia un inglese ogni 30 secondi e il grado della disoccupazione è diventato molto preoccupante. Per cui, quando l’interlocutore sindacale ci ha riferito che, in generale, il sindacato inglese è stato ridotto ad una valenza di semplice club settoriale di supporto per gli iscritti, ma che in effetti dispone di limitata agibilità e di pochissime possibilità giuridiche di far valere i diritti dei lavoratori. Siccome l’Inghilterra è sempre anticipatrice di modelli da seguire, la stessa cosa si prospetta per tutta l’Europa. Infatti in Italia con l’ultime elezioni politiche del 2008 il sistema è diventato bipolare (che già è un limite al pluralismo), in effetti è diventato monopolare con programmi economici simili, dove l’agenda politica viene dettata dalla confindustria che a sua volta riceve gli indirizzi dai grandi potentati economici mondiali. L’ulteriore riprova di questa devastante accelerazione sono i quesiti referendari sul sistema elettorale che si stanno votando oggi e lunedì 22 giugno 2009, che se dovessero passare, dopo lo sbarramento che già limita la rappresentanza popolare, darebbero al partito che prende un voto in più la maggioranza assoluta.Ma che guarda caso trovano d’accordo indistintamente i due partiti maggiori: PDL e PD. I filosofi, gli economisti e i mass media funzionali al sistema, ci dicono che questo è il migliore dei mondi possibili, la democrazia, il migliore sistema di governo, l'economia finanziaria l'unica possibilità di progresso economico e umano. Però i frutti amari sociali del loro agire che stiamo sperimentando sulla nostra pelle hanno dimostrato che invece sono parole vuote, il paravento dietro il quale si celano invece i più luridi interessi del partito unico ultra-liberista e l' inganno continuo nei confronti della gente. Siamo di fronte ad un momento critico non solo a livello di economia globale, ma al sorgere di un nuovo governo mondiale dai contorni sociali inquietanti. E’ tempo che i sindacati, i mass media, i lavoratori prendano coscienza della realtà che li aspetta e non della scientifica disinformazione che le viene fatta. E’ ora che queste strutture ritornino autonome, libere e realmente condizionino chi, attraverso la speculazione finanziaria sta mettendo a repentaglio il nostro futuro e gli equilibri sociali del mondo. Senza lavoro non può esistere dignità per l’uomo e senza dignità del lavoro non esiste umanità. Infine le conquiste sociali si raggiungono con anni di dure lotte, si perdono in un attimo. Riprendere la lotta significa difendere i nostri diritti sociali ed affermare una nuova civiltà che è l’armonia fra capitale, lavoro e Stato, e che è la dignità di uno Stato, in questi momenti di crisi generale, si afferma non permettendo che dei gruppi defilati e ristretti possano condizionare negativamente la nostra vita. Questa è una battaglia di civiltà a cui nessuno coscientemente può e deve sottrarsi. Questa è la prova per cui o si è veramente liberi o si è soggiogati da una suadente realtà che, di fatto, è un'insoddisfacente vera bugia.



Articolo di Ettore Bertolini, tratto da www.tifogrifo.com

Solstizio d'estate.



CHE IL SOLE DIA LUCE ALLE NOSTRE AZIONI



venerdì 19 giugno 2009

SICUREZZA? NON MASSIFICHIAMOCI.















Il `popolino´ è sempre ben accondiscendente e silenzioso. Massificato dalla società, l'individuo si mischia nel "gregge delle pecore" invece di cercare il "branco di Lupi". Questo avviene da tempo a Perugia, in Italia e nel resto del mondo. Milioni di persone che ogni giorno fanno le stesse cose, ascoltano la stessa musica, vestono le solite marche, usano termini fuori dalla loro lingua d´origine per sentirsi alla moda e, tra una puntata del grande fratello o la nuova invenzione di `faccialibro´, ingurgitano qualcosa di pseudo commestibile comprato nei grandi circuiti multinazionali americani. Di rado si `svegliano´ e gridano allo scandalo nel momento in cui sentono parlare di aggressioni, stupri e risse con tanto di coltelli che sembrano sciabole. Benvenuti nella realtà!





Da tempo la nostra città è in balia di bande criminali che usano come campo di battaglia le nostre strade e utilizzano i nostri quartieri come mercati per trafficare le sostanze che imbambolano i nostri giovani. Non di molto tempo fa è la notizia dell´ennesimo parapiglia in centro, in pieno giorno, scatenato da extracomunitari e che ha coinvolto inevitabilmente turisti e cittadini perugini che impauriti scappavano a destra e a manca. Quotidianamente, oltre al centro storico, sono interessati da questi "fenomeni" molti altri quartieri, periferici e non; basti pensare alle risse con tanto di omicidi in Piazza del Bacio o alla situazione disastrosa di Via della Pallotta. Zone invivibili dove dilagano inevitabili paure che portano i residenti ad andarsene, i turisti a non tornare e gli studenti a cercare altre città dove poter studiare e cercare un proprio "accesso al futuro".





In questi giorni abbiamo assistito, insieme ad altre scene come quelle sopra descritte, alla campagna elettorale per le amministrative, dove, ancora una volta, a primeggiare, sono stati gli slogan vuoti di coloro che, mai visti prima, inneggiano alla sicurezza e al cambiamento, e dalle scontate risposte dei soliti noti che da anni amministrano la città; una "città nell´abisso" grazie a chi da sessant´anni ci governa, grazie a chi ci governerà e grazie soprattutto a chi, nel mutismo, nella rassegnazione e nel falso pietismo, fa finta di non vedere. C´è bisogno di gente che sa fare e dare, c´è bisogno di gente che, mettendo il tornaconto personale da una parte, inizi a realizzare per il bene della Comunità.





Una Comunità che deve obbligatoriamente essere composta di Uomini veri e liberi. Il ripristino della vivibilità della nostra città passa imprescindibilmente per la riconquista degli spazi sociali basilari: piazze, strade, quartieri. Iniziare a riprenderci gli spazi dovuti, uscire nei parchi con le nostre famiglie e ripopolare il centro storico, perché questo torni ad essere "acropoli" nel senso pieno del termine. Sarebbe questo, oltre che un buon inizio, un passo necessario verso la conquista della "sicurezza organica" alla quale abbiamo diritto, oltre che un' ottima risposta a chi ci vorrebbe consumatori sordi e muti buoni solo a riempire i centri commerciali che ormai saturano e abbruttiscono il nostro territorio.





Scendere in strada quindi, vivere la nostra città, le sue strade e le sue piazze, far rinascere i rapporti comunitari fra i suoi cittadini che, in essa, dovrebbero naturalmente svilupparsi, è punto fondamentale per riconquistarla.













Di Fabio Polese, Associazione Culturale Tyr Perugia

Pubblicato su Free Press Perugia



lunedì 15 giugno 2009

Brzezinski dietro le rivolte in Iran?

Dalle urne un verdetto che pare inaccettabile per l’alta finanza.



Il recente viaggio di Obama in Medio Oriente, culminato nel discorso in Egitto, mostrato da tutti i media del pianeta come un gesto di apertura al mondo musulmano, all’insegna della discontinuità con l’Amministrazione George W. Bush, ha colto nel segno. Il tentativo di fomentare indirettamente le opposizioni tanto minoritarie quanto storiche negli Stati maggiormente non allineati alla politica atlantica (su tutti l’Iran degli Ayatollah) pare essere riuscito: la destabilizzazione libanese col recente scossone che ha consentito alla enorme coalizione filo occidentale di sconfiggere le forze di Hizbollah, ha fatto da preludio alla destabilizzazione stavolta soltanto verbale e “morale” del voto in Iran, poco dopo un attentato molto strano avvenuto pochi giorni or sono nel nord del Paese mediorientale, per cui sono stati già condannati a morte tre sedicenti membri di una cellula fondamentalista sunnita.



Un’operazione mediatica abile e manipolante ha inculcato nelle teste dell’opinione pubblica di quasi tutto il Pianeta che Ahmadinejad, legittimo presidente della Repubblica Islamica, fosse in netto calo e che l’affluenza di moltissimi giovani alle urne avrebbe quasi certamente garantito la vittoria almeno al secondo turno al riformista e moderato Mussavi. Chiaramente tutto ciò si è rivelato falso, tanto che, stante la grande affluenza, nessun sondaggio né alcuna proiezione a spoglio iniziato, hanno lontanamente confermato i proclami deliranti dello sfidante filo occidentale, che a due ore dalla chiusura del voto, si è persino dichiarato vincitore.



Nel 2007 un tuonante Zbigniew Brzezinski, storico stratega della geopolitica statunitense, asseriva, durante un'audizione della Commissione Difesa del Senato degli Stati Uniti d'America, che era evidente “il fallimento [del governo] iracheno nell'adempiere ai requisiti [posti dall'amministrazione di Washington], cui faranno seguito le accuse all'Iran di essere responsabile del fallimento, indi, mediante qualche provocazione in Iraq o un atto terroristico negli Stati Uniti attribuito all'Iran, [il tutto] culminante in un'azione militare 'difensiva' degli Stati Uniti contro l'Iran”, lasciando esterrefatti un buon numero di addetti ai lavori. Di fatto, veniva legittimata all’interno dell’Amministrazione d’oltre oceano, l’idea di poter “orchestrare” un attentato a proprio vantaggio, manipolandone gli effetti in termini di opinione pubblica, costruendo dal nulla un fertile terreno di liceità per un eventuale attacco. Non è una novità nemmeno l’osservazione dello stesso Brzezinski a proposito del caso riguardante il falso dossier inglese usato per mostrare l’esistenza di un armamento anticonvenzionale nell’Irak di Saddam Hussein, che mise nei guai di un vero e proprio scandalo la coppia Bush/Blair. Egli affermò che “al Presidente venivano attribuite preoccupazioni per il fatto che avrebbero potuto non esserci in Iraq armi di distruzioni di massa, che si sarebbero dovute mettere in piedi altre basi per sostenere l'azione bellica” sostenendo implicitamente che la pratica di costruire “teoremi ad hoc” non era certo inedita.



Brzezinski, Soros e Roathyn, ovvero gli agenti primari della geo-economia e della finanza mondiale, tra i principali sponsorizzatori della campagna che ha portato Obama al risultato "storico" e alla elezione alla prima carica degli Stati Uniti, da decenni muovono le fila dello scacchiere geopolitico. Dopo aver fondato Al Qaeda in funzione antisovietica, dopo aver finanziato il terrorismo degli indipendentisti ceceni in funzione anti Putin, dopo aver organizzato, assieme ai suoi sodali, tra cui ben 4 figli tutti impiegati nell'establishment della Nato e dell'intelligence yankee, le rivoluzioni "democratiche e arancioni" in Ucraina e in Georgia, il polacco Brzezinski, punterebbe dritto verso l'obiettivo finale: la distruzione della Repubblica Islamica e la conquista dell'Iran.



Il suo libro "La grande scacchiera", scritto nel 1996, sembrava ai più un delirante saggio di politica internazionale, piuttosto fantasioso nonchè cinico e spietatamente in grado di delineare un globo sempre più americanocentrico, indicando nel cordone eurasiatico i punti centrali in materia strategica ed energetica per la sopravvivenza del Capitalismo e dei suoi paesi-modello. Invece, pian piano, in pochi anni il quadro si è rivelato quanto mai reale tanto da mettere un certo spavento, per la geometrica perfezione con cui si è concretizzato. Oggi in Iran le manifestazioni dell'opposizione nettamente sconfitta, ed il quadro neo-golpista che ne potrebbe emergere, saranno da soppesare con la dovuta cautela: Ahmadinejad ha già lanciato pesanti e lecite accuse contro la vergognosa disinformazione che l'Occidente ha portato avanti, paventando inesistenti brogli da due mesi e annunciando un vantaggio dell'opposizione nei sondaggi che nei fatti non ha mai trovato alcuna minima conferma.



Le delegazioni dei giornalisti olandesi e di quelli spagnoli son state espulse dal Paese, e le manifestazioni sono state nei fatti vietate. E' incredibile come, malgrado il risultato non lasci dubbi e sia nettamente a favore del presidente iraniano (andato ben oltre il 60% dei consensi), l'opinione mondiale sia ancora critica e nutra dubbi: mai visto per dire tanto fervore per elezioni in Paesi assolutamente non democratici come Arabia Saudita o Egitto, che però hanno il "pregio" di essere Stati "amici" nei confronti degli Stati Uniti d'America. Basterebbe pensare che mentre, anche dall'Italia piovono critiche contro il governo di Tehran, qui da noi, a Roma, andava in scena un patetico siparietto di strisciante accoglienza nei confronti di Gheddafi, un personaggio che non ha mai rappresentato sicuramente un "democratico esempio" di leadership politica, ma che negli ultimi anni si è progressivamente e palesemente aperto all'Occidente e alla sua "libera economia".



Siamo alle solite: due pesi e due misure. E mentre Ahmadinejad paventa ai mezzi di informazione la presenza di "forze esterne" che stanno fomentando un clima irreale di tensione, la Guida Suprema Ayatollah Alì Khamenei ha assicurato che partirà un'inchiesta per approfondire la questione dei presunti brogli elettorali. Brogli sempre più fantomaticamente sbandierati da un leader riformista fermo al 32% dei consensi, e mai dato in vantaggio da alcun organo o istituto mediatico in alcun dato parziale durante lo spoglio, ad eccezione di sè stesso, autoproclamandosi vincitore a due ore dalla chiusura delle urne, in pieno svolgimento delle operazioni elettorali. Un'arroganza e una presunzione che suonano sospette: chi e cosa si cela dietro l'opposizione filo occidentale di Mussavi?





Articolo di Andrea Fais, www.controventopg.splinder.com

Aristocratici e pop.




La matrice futurista del recente impatto mediatico di gruppi politici e di correnti culturali un tempo marginalizzati è fenomeno osservabile da un certo numero di anni in Italia. Francesco Mancinelli, in un recente intervento su Il Fondo, faceva notare come la seduzione dell’immaginario giovanile metropolitano - estetiche, gestualità, riti- esercitata da settori dell’area ‘nazionalrivoluzionaria’, stia forzando gli stessi diretti contendenti della ’sinistra radicale’ a dismettere i vecchi pastrani post-resistenziali per misurarsi con vestigia aliene, anche di singolare fattura esistenzial-ideologica. Pure temi di natura fortemente sociale, libertaria ed ecologista sembrano ritornare più fortemente che mai ai movimenti politici della ‘destra radicale’ mentre, alcuni ambienti marxisti, vanno riscoprendo la centralità delle tematiche nazionalitarie nazionaliste e identitarie e rilevano, come nel caso di Costanzo Preve, la natura antipositivistica - ed in ultima analisi antiprogressista- del proprio marxismo: riconoscendo finalmente la legittimità di quelle vie conoscitive, prima altezzosamente negate, rispondenti all’innata esigenza metafisica dell’uomo.



pop_fondo-magazineUn tempo citato finanche a dismisura, Julius Evola, forse il pensatore che maggiormente ha influenzato modelli di pensiero e scelte di vita dei giovani neofascisti, sembra esautorato delle funzioni totemiche assolte, per un buon mezzo secolo, presso ‘figli del sole’ di differenti orizzonti e generazioni. Di recente, un volumetto delle Edizioni di Ar - che hanno il merito di avere reso disponibile l’immensa opera pubblicistica evoliana del dopoguerra- intitolato Evola no-global? ha visto ribadire, dai commentatori invitati ad esprimersi intorno al quesito posto dal titolo, la sostanziale’intraducibilità’ delle proposizioni aristocratiche del Barone nel lessico politico degli ‘antagonismi’ di massa contemporanei. Questo pur riconoscendo, allo stesso Evola, il merito di avere lucidamente còlto ed interpretato le dinamiche globalistiche - e quindi intimamente dissolutorie- comprese nella modernità e di avere saputo interloquire, con sapienza e spregiudicatezza, con i più estremi esponenti del nichilismo contemporaneo, riconnetendovi un senso e un valore simbolico e di rottura - in Cavalcare la tigre - che dovettero spiazzare non di poco le zelanti torme clerico-fasciste dell’epoca.



In questo senso la scelta ‘futurista’ e iconoclasta da una parte e la tendenza ‘populista’ dall’altra rappresentano, a mio avviso, altrettanti tentativi di proiezione nella dinamica propriamente storica, da dove ci si avvertiva esclusi e in cui si ritiene, oggi, di dovere e potere a ragione rientrare senza troppi ingombri. Ugo Maria Tassinari, che riprende in un intervento altrettanto recente le ‘provocazioni’ di Mancinelli, attribuisce a CasaPound un’anima più estetica che politica, intercettando scenari individuati e suggeriti da Gabriele Adinolfi, e rilancia interrogandosi circa il rapporto dialettico tra potere e movimenti. Rimane, però, il quesito circa il ruolo che gioca, nel mutato agòne contemporaneo, l’opera e il pensiero del “filosofo proibito”, per usare la suggestiva quanto appropriata immagine che dà il titolo ad un’ottima monografia di Marco Fraquelli su Evola. L’opera di quest’ultimo rimane a tal punto complessa alta e frastagliata che risulta ancora inaggirabile, per più motivi, anche nell’arcipelago postmoderno dove si avviluppano e tendono a confondersi le radici del Novecento ideologico artistico e filosofico.



Se pure Evola, ad esempio, prese a un certo punto della sua giovinezza a detestare il Futurismo, indicandone le contaminazioni con una suggestione modernista e tecnocratica, infrarazionale ed estetizzante, che nel culto della macchina e della velocità denunciava un oscuro debito nei confronti dell’intuizionismo misticheggiante di Bergson - e, attraverso di esso, verso quelle forze “passate allo stato libero” di natura demònica- egli stesso aveva, però, intrapreso la sua carriera di pittore proprio presso l’atelier Balla e, proprio con Marinetti, finì con stringere un breve ma significativo rapporto di collaborazione. Si sa che il passaggio all’arte astratta, e segnatamente al Dadaismo, fece di Evola un avversario aperto e agguerrito dei Futuristi, che non mancarono di rendergli la pariglia a modo loro. Stà di fatto che Evola aveva percorso, con il consueto radicalismo, l’esperienza futurista prima e dadaista poi, segnalandosi come il più notevole interprete dell’ “esoterismo Dada”, come gli riconosce Massimo Cacciari. E da ultimo è proprio questa verve evoliana, questa cocciuta vocazione all’avanguardia, alla sperimentazione solitaria e intransigente, interiormente meditata e sofferta, a permanere intatta nelle cangianti vicissitudini del radicalismo “post-neo-post-fascista” italiano, continuando ad ispirarne vocazioni, atteggiamenti e peripezie.



La stoica disciplina dell’apolitìa, unita alla giovanile semenza nichilista, ricompare, secondo un’eterogenesi dei fini, a fecondare mondi lontani da quelli cui si rivolse direttamente in vita il filosofo romano. E se un tempo essa fu, da quegli ambienti, percepita come una cesura e un lascito pessimista da parte del Maestro, oggi forse essa si colora di una polifonia di riverberi e fosforescenze che non mancano di evocare nuove stagioni di resistenza e disordinazioni.



Articolo di Mario Cecere, tratto da: "Il Fondo".