domenica 29 maggio 2011

Requiem per un sogno… americano.



Chi sa cogliere spunti senza fermarsi alle apparenze, può avvalersi della cinematografia quale utile strumento di comprensione delle realtà profonde. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi, è avvenuta (almeno nel mondo cosiddetto occidentale) una colonizzazione sottile fondata sull’assimilazione culturale al modello americano. La chiave di volta di questo sistema di controllo planetario sono senz’altro i mezzi di comunicazione di massa, i quali si servono della forza delle immagini per dispensare stereotipi a cui l’opinione pubblica finisce, giocoforza, per aspirare. Tuttavia, all’interno di questo enorme calderone di immagini volte ad una funzione propagandistica, si può estrapolare qualche elemento dotato di una straordinaria peculiarità: instillare nello spettatore il seme del dubbio circa la bontà dell’american way of life. Va dato atto al cinema statunitense di aver spesso sviscerato la realtà contemporanea sino a farne emergere contraddizioni, fragilità, decadenza, ossia tutte quelle verità sociali che l’americanismo porta in dote ma che vengono celate dal suo efficace velo di propaganda. Requiem for a Dream non è un capolavoro, ma indubbiamente si colloca in questa prospettiva di denuncia sociale, ed ha la caratteristica di farlo in maniera dirompente, andando a scavare nei meandri più nascosti della periferia alla ricerca di quelle pietre dello scandalo da poter esibire senza vergogna ad una platea abitualmente imbonita da immagini di propaganda. Già il titolo, un misto tra la nobile e antica lingua latina e la rozza parlata anglosassone, è eloquente: Requiem è la Messa celebrata in memoria di un defunto, che nella fattispecie si applica per il Dream(il sogno), che l’americanismo vende a buon mercato ai suoi sudditi ma che si rivela un inganno dai risvolti drammatici. Il film racconta il percorso verso la felicità di alcuni di quei poveri reietti che riempiono le borgate delle metropoli americane, antiestetici lidi di mestizia da cui, certo, la felicità non può che latitare. Un percorso che si basa su propositi fallaci: il piacere effimero, l’espediente, l’inadempienza nei confronti del prossimo; un percorso, dunque, destinato a fallire miseramente riconsegnando questi squallidi avventori a destini disperati. Questo viaggio verso l’abisso si svolge, per i protagonisti, attraverso un periodo di tempo che va dall’estate, passa per l’autunno e termina in inverno; stagioni corrispondenti all’ascesa, al declino e alla caduta. Sottosezioni che sono il paradigma del sogno americano, il quale parte dall’illusione del “migliore dei mondi possibili” sino a rivelarsi una chimera prodiga di inquietudini. L’ambientazione è la grigia periferia newyorkese, tra Brighton Beach e Coney Island, dove vivono i protagonisti di questa drammatica pellicola: Sara Goldfarb, un’anziana vedova relegata nella solitudine che solo l’abuso di tv riesce rovinosamente a compensare; suo figlio Harry, un tossicodipendente che fonda la propria vita nella ricerca di veleni da iniettarsi nelle vene, insieme alla sua ragazza Marion e all’amico Tyrone. L’inizio della storia sembra essere generoso nei confronti dei quattro personaggi, che cedono a diaboliche lusinghe che tuttavia li condurranno in un vortice dal quale non sapranno più sottrarsi. La vecchia Sara riceve un giorno un invito telefonico che la rende entusiasta: una voce amichevole le comunica attraverso la cornetta di essere stata inserita in una lista di possibili partecipanti ad un programma televisivo di cui le sue stanche pupille sono ghiotte. Un palcoscenico per poter finalmente affermare la propria esistenza, un’occasione eccezionale di ribalta per questa anziana vedova, sola e delusa da un unico figlio che brancola nel disagio, lontano da quei propositi di gratificazione sociale che ogni madre agogna per la sua prole. Emozionata, decide che per l’evento indosserà un vestito rosso, confinato in un armadio da decenni e quindi non più adatto ad un corpo ingrassato dall’età. Decisa a conformare se stessa all’abito pur di apparire impeccabile nel momento di gloria che la tv le concederà presto, intraprende una dieta dissennata propostale da un cinico medico: a base di anfetamine, di cui lei ignora i terribili effetti. Intanto, il figlio Harry intraprende, insieme all’amico Tyrone, un traffico di droga che si rivela inizialmente molto proficuo: la disponibilità della stessa è sempre ampia e variegata, il guadagno è facile e può consentire ad Harry e alla sua Marion di accarezzare il sogno di quest’ultima di aprirsi un negozio d’abbigliamento per affrancarsi dal degrado della periferia. Tutto sembra procedere per il meglio, fin quando l’estate dura. Con l’avvento del malinconico autunno iniziano i primi problemi, che stravolgono i piani dei quattro mostrandone la caducità. Gli effetti delle anfetamine iniziano ad assillare la povera Sara, preda di allucinazioni che ne minano la già precaria condizione di donna sola e dimenticata: il frigorifero sembra muoversi fino al punto di esplodere come una bomba di cibo caricata da una folle astinenza dovuta alla dieta; la tv è sempre più reale, a tal punto da diventare la porta d’ingresso verso il suo salotto degli interpreti dei programmi televisivi a cui ossessivamente e impazientemente Sara aspira. Essi sono un incubo che si materializza nelle allucinazioni: ghignano in modo sgargiante, puntando gli indici verso una donna inadeguata rispetto a standard di perfezione estetica e condizione sociale di cui la tv è espressione ma che ella disattende. Intanto, la strada aspra fuori dalle anguste mura di casa Goldfarb è testimone del fallimento degli affari narco-commerciali di Harry e Tyrone. Quest’ultimo viene coinvolto accidentalmente in una guerra tra bande e finisce in carcere. Per il suo rilascio, Harry è costretto a sacrificare tutta la somma di denaro ricavata dallo spaccio. Contestualmente a questa privazione economica, un altro evento segna i loro destini: i trafficanti decidono di togliere l’eroina dalla circolazione per un po’ per poi iniziare a rivenderla a prezzi più alti. E’ la fine dei loro affari, ma anche l’interruzione di una costante somministrazione di droghe a cui i loro deboli corpi si sono abituati. La crisi d’astinenza logora il rapporto umano tra Harry, Tyrone e Marion, oltre a scaturire devastanti scenari personali: Harry trascura una impressionante infezione al braccio sinistro, Tyrone è in balia di una straziante nostalgia della madre che non vede da anni e che gli procura carenze affettive incolmabili, Marion decide di vendere il suo grazioso corpo per procurarsi la droga. L’abisso è ormai all’orizzonte, inizia a manifestarsi quando Harry e Tyrone intraprendono un viaggio in Florida per acquistare una grossa partita di droga a prezzi vantaggiosi rispetto al mercato di New York. Tuttavia, il braccio di Harry è ormai in condizioni disperate e dunque, sulla via del ritorno, i due sono costretti a fermarsi in un ospedale, dove la polizia scopre il loro carico e li arresta. Il tetro inverno incombe e il destino amaro è ormai inevitabile: dopo l’ennesima paranoia, Sara esce da casa e, in preda a deliri, si reca agli studi televisivi per chiedere come mai ancora non sia stata chiamata ufficialmente per partecipare al programma. Il personale si accorge del suo stato e la fa portare in un ospedale psichiatrico, dove le viene applicato un elettroshock che le azzera definitivamente ogni facoltà mentale. Un modo rapido ed efficace da parte del sistema per liquidare un ingombrante vittima che lo stesso sistema ha creato: espressione tipica della società usa e getta. Intanto, Tyrone torna in carcere e viene sottoposto a lavori forzati di una crudeltà resa ancora più evidente a causa del suo colore della pelle nero, il quale rievoca ed esaspera sentimenti razzisti dei secondini atavicamente insiti nell’animo americano. Marion entra in una spirale convulsa di tossicodipendenza che ne fa oggetto di un noto trafficante, il quale la porta a prostituirsi in modo sempre più spinto per soddisfare perversioni dell’alta società a cui la criminalità, nel sottobosco notturno, vende evidentemente i suoi dissoluti servigi. Infine, Harry è costretto a subire in ospedale un intervento chirurgico volto ad amputargli il braccio massacrato da un’infezione dovuta all’eccesso di iniezioni endovena di eroina. Il suo pianto post-operazione nel ricordo struggente di Marion, simbolo di un amore ormai dissipato, dà il senso della disperazione che conclude il film. Un senso di disperazione che affonda le radici nella società americana e che il regista ha espresso con estrema franchezza. La destrutturazione dei legami sociali è, del resto, prodotto tipico a stelle e strisce, che trova compimento in quegli anonimi agglomerati urbani che celebrano il trionfo dell’individualismo e la ricerca di modelli omologanti e di dipendenze per sfuggire alla conseguente solitudine: la droga e la tv, come nel caso dei protagonisti di questo film. Il dramma è che il colonialismo culturale ha esportato su scala universale questa cultura, coinvolgendo nella disperazione di una vita alienante anche popoli anticamente aggregati da sani vincoli comunitari. Per sfuggire ai pericoli dai quali racconti come Requiem for a Dream, nella loro durezza, ci mettono in guardia, occorre rifiutare le sirene dell’individualismo e dell’omologazione a cui quotidianamente siamo sottoposti. L’imperativo è riaffermare le nostre individualità nell’unico contesto in cui possono arricchirsi ed esprimersi in modo organico e liberamente: la comunità. Ovvio che per edificare bisogna partire dalle fondamenta, è dunque d’obbligo riconsegnare la dignità che spetta al sacro valore della famiglia, cardine primo della società.



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giovedì 26 maggio 2011

L’incubo dei treni ad alta velocità è tornato in Val di Susa.


(ASI) Oggi, nonostante i media mainstream ne parlino poco, l’incubo dei treni ad alta velocità in Val di Susa è tornato. Fabio Polese, per Agenzia Stampa Italia, ha incontrato Marco Cedolin, autore di “T.A.V. in Val di Susa – Un buio tunnel nella democrazia”, edito da Arianna Editrice, per capire cosa sta accadendo in queste ore.



Nel suo recente articolo intitolato “T.A.V. in Val di Susa, l’incubo ritorna, più nero che mai” ha descritto la situazione attuale così: “L’incubo ritorna, ritornano i presidi, le notti con il cellulare sotto il cuscino e gli scarponi davanti al letto, ritorneranno probabilmente la militarizzazione, i check point, le cariche con i manganelli contro la gente disarmata, le intimidazioni, poiché l’inizio dei lavori è stato annunciato a giorni e “l’assalto all’arma bianca” sembra davvero più questione di ore piuttosto che di settimane”. Ci spiega cosa sta succedendo?



Sta accadendo semplicemente che lo scellerato progetto consistente nella costruzione di una nuova infrastruttura per i treni ad alta velocità/capacità in Valle di Susa, dopo essere stato cacciato “fuori dalla porta” nell’autunno 2005 da una vera e propria rivolta popolare, stia tentando di rientrare dalla finestra per opera di una consorteria composta dai mestieranti della politica e da alcune lobby “prenditoriali” nostrane. Durante i quasi sei anni che sono intercorsi dal fallimento, la consorteria ha riordinato le proprie fila, costruito mediazioni politiche, “venduto” anche a livello europeo una lunga sequela di dati e stime sui flussi di traffico palesemente false e rielaborato un nuovo progetto, più costoso ed impattante di quanto non lo fosse quello precedente. Ed ora si appresta ad imporlo con l’uso della forza ai cittadini e alle amministrazioni locali che avversano radicalmente un’opera che comporterebbe oltre 20 anni di cantieri, la profonda devastazione di una valle alpina già martoriata in profondità da un carico infrastrutturale fuori dal comune, rischi enormi per la salute dei cittadini residenti ed un profondo salasso di alcune decine di miliardi di euro per tutti i contribuenti italiani. Un’opera che oltretutto anche in prospettiva si manifesta assolutamente priva di utilità, non rispondendo ad alcuna necessità del paese e non possedendo le prerogative per conseguire un qualche ritorno economico.



Dunque gli spettri del 2005 stanno tornando e, da quanto ho appreso, in questi giorni ci sono state delle contestazioni. E’ vero?



Verissimo, dal 2005 in poi le contestazioni in Val di Susa non si sono mai spente, prima hanno riguardato le false mediazioni, ordite negli oscuri bugigattoli del potere, con le forze dell’ordine ad impedire l’audizione non solo ai cittadini interessati ma perfino ai giornalisti. Poi la meschina farsa delle trivelle, durante l’inverno 2010, ufficialmente deputate ad effettuare improbabili studi geognostici, nonostante venissero regolarmente piazzate sotto ai viadotti dell’autostrada (dove la costituzione dei terreni è ben nota in profondità) o nelle discariche, dove non esisteva nulla da sondare. Due giorni fa il tentativo d’installare, in località Maddalena di Chiomonte, un cantiere propedeutico alla scavo di un tunnel della lunghezza di 7 km, venduto come galleria geognostica, ma in realtà deputato a costituire la discenderia italiana dell’opera.



Quando parla di “manganelli contro gente disarmata”, cosa intende? Ha assistito a mattanze non degne di un paese “democratico” come il nostro?



Da quando seguo personalmente la questione, i manganelli contro la popolazione disarmata, in Val di Susa sono stati usati molto frequentemente. Le vere e proprie mattanze, indegne di un paese democratico quale il nostro dovrebbe essere, sono però avvenute specificamente in due occasioni. La prima durante la notte fra il 5 ed il 6 dicembre 2005, quando una cinquantina di presidianti a Venaus vennero assaliti con furia belluina e massacrati nel sonno da un nutrito gruppo di forze dell’ordine che li bastonò mentre ancora dormivano nelle tende e rase al suolo il presidio con l’ausilio di una ruspa, dopo avere gettato letteralmente fuori dalle finestre i cittadini che lo occupavano. I barellieri furono costretti a trasportare a mano una trentina di feriti fino alle ambulanze, perché le forze dell’ordine impedirono risolutamente l’accesso anche ai mezzi di soccorso. La seconda nel tardo pomeriggio del 17 febbraio 2010, quando indispettite dal lancio di alcune palle di neve, le forze dell’ordine a guardia di una trivella pensarono bene di caricare i manifestanti, infierendo poi in gruppo su alcuni di loro che nella fuga erano caduti a terra. Una signora di 45 anni venne operata in ospedale per la rottura del setto nasale ed un profondo trauma facciale, mentre un giovane rischiò seriamente la vita, passando l’intera notte in rianimazione per un’emorragia cerebrale causata dai colpi inferti mentre giaceva a terra.



 



Cosa comporterebbe la costruzione della tratta ad alta velocità Torino – Lione per gli abitanti della Val di Susa?



Sostanzialmente una ventina di anni di cantieri nella migliore delle ipotesi. La devastazione degli equilibri idrogeologici del territorio (come già accaduto nel Mugello) con essiccazione delle sorgenti, paesi senza acqua, aumento del rischio alluvionale nel fondovalle, inquinamento dei corsi d’acqua. La dispersione nell’aria di ingenti quantità di fibre d’amianto, presenti in abbondanza nelle montagne oggetto degli scavi, e nei terreni di materiale radioattivo, dal momento che il massiccio dell’Ambin, sotto al quale dovrebbe correre il tunnel di base lungo 54 km, contiene numerose vene di uranio, monitorate perfino dall’Agip, quando ancora l’Italia non aveva rigettato il nucleare. La compromissione di un grande numero di abitazioni che si trovano in prossimità del tracciato o che verranno comunque danneggiate dalle vibrazioni conseguenti agli scavi, parte dei quali verranno effettuati con l’uso degli esplosivi. Polvere, traffico e rumore, conseguente al transito continuativo di centinaia di camion giornalieri contenenti il materiale di risulta. Crollo del mercato immobiliare e compromissione di una cospicua parte delle attività agricole ancora in vita. Solo per citare quelle più eclatanti. Ritengo sia però importante sottolineare che la lotta contro il TAV in Val di Susa non è una battaglia localistica per difendere il proprio giardino. Al contrario, i valsusini che passano le notti all’addiaccio stanno combattendo per l’interesse di tutti gli italiani, chiamati a finanziare un’opera dagli impatti economici devastanti e assolutamente priva di senso, contrariamente a quanto i media mainstream cercano di far credere.



E per la natura?



La natura sarà sottoposta a tutte le devastazioni citate in precedenza, cui andranno aggiunti danni irreparabili per alcune specie animali e profonde compromissioni per un territorio montano dagli equilibri notoriamente assai delicati e già profondamente provato dalla devastazione conseguente alla costruzione dell’autostrada negli anni 90.



Come si sono organizzate in questi tempi i movimenti anti-T.A.V.?



Come sempre, il movimento NO TAV è uno solo e si tratta di un movimento popolare a partecipazione spontanea, senza gerarchie e sudditanze partitiche. Al suo interno confluiscono decine di Comitati che rappresentano i singoli paesi. Le decisioni vengono prese democraticamente, attraverso periodiche riunioni di coordinamento alle quali partecipano gli aderenti ai singoli comitati e poi approvate o bocciate nel corso di un’assemblea popolare partecipata da tutti i cittadini. Non ci sono capi o comandanti, anche se può sempre accadere che la parola ed il carisma di qualcuno abbiano una valenza maggiore rispetto a quelli di qualcun altro, in fondo anche in Val di Susa siamo umani, con tutti i vizi e le virtù che questo comporta.



Crede che le forze costituite dal popolo bastino per fermare il T.A.V. in Val di Susa?



Il popolo, come ho avuto modo di scrivere molte volte, qualora unito è in possesso di una enorme forza, anche se quasi sempre ne è totalmente inconsapevole. Alcune migliaia di persone, tanto pacifiche quanto risolute, che si piazzino davanti alle ruspe e ci rimangano, sono in grado di bloccare la cantierizzazione di qualunque opera. Il problema consiste nel veicolare l’informazione, affinché i cittadini prendano coscienza della reale natura delle questioni e creare un’unità d’intenti che prescinda dai distinguo ideologici su cui è basata la tecnica del dividi et impera. Detto ciò fermare il TAV in Val di Susa non sarà facile, perché i grandi poteri che transitano dai partiti, per arrivare fino ai covi del malaffare, useranno tutti i mezzi a propria disposizione per soffocare la protesta. Dalla forza bruta alla magistratura, passando attraverso lo screditamento e la demonizzazione dei contestatori e le minacce personali. Non sarà facile ma è ampiamente alla nostra portata, come gli accadimenti del 2005 stanno a dimostrare.



Cosa prevede per il futuro?



Si prospetta senza dubbio un periodo di forti tensioni. Dopo essere stato respinto una prima volta la scorsa notte il tentativo di cantierizzazione verrà ripetuto probabilmente all’inizio della prossima settimana, per evitare interferenze con i ballottaggi, e si tratterà di un assalto molto violento, in linea con la richiesta di uso della forza, ripetuta in questi giorni da molti uomini politici di spicco. Se l’assalto verrà respinto, le autorità si vedranno costrette a prendere atto, come già avvenne nel 2005, del fatto che è impossibile cantierizzare una grande opera di queste dimensioni, in un territorio che la rifiuta radicalmente. Se con l’ausilio dei manganelli, a fronte di un “massacro” collettivo riusciranno ad installare un cantiere simbolico, valido per ottenere i finanziamenti delle UE, si prospetta una lunga battaglia di trincea, destinata a durare parecchi anni. Guardando al futuro, non vedo alternative a queste due eventualità, ovviamente in tutte le infinite variabili e sfumature che potranno esistere.



Intervista a cura di Fabio Polese,

www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3678:lincubo-dei-treni-ad-alta-velocita-e-tornato-in-val-di-susa&catid=4:politica-nazionale&Itemid=34


Roma, Ibrahim Al-Moussawi (Hezbollah): "Liberazione dalle ingerenze straniere sulla propria terra"


(ASI)  Il 25 maggio di undici anni fa le truppe israeliane si ritiravano dal Libano del sud, ponendo fine a ventidue anni di occupazione che segnarono profondamente i destini della "terra dei cedri".  La ritirata israeliana fu accolta con gioia e sollievo da parte di una popolazione libanese frustrata a causa dell’usurpazione della propria terra, al contempo diffuse un sentimento di gratitudine nei confronti di Hezbollah (Partito di Dio), a cui vennero riconosciuti i meriti della strenua e finanche efficace opposizione all’incedere dell’esercito sionista. Oggi, 25 maggio 2011, L’Associazione Islamica "Imam Mahdi" ha deciso di celebrare la ricorrenza organizzando nei locali della propria sede romana un incontro pubblico a cui ha partecipato il responsabile dell’ufficio stampa di Hezbollah, Ibrahim al-Moussawi, e a cui era presente, anch’egli come ospite d’onore, Ali Akbar Naseri, ambasciatore della Repubblica Islamica dell’Iran presso la Santa Sede. Nella piccola ma accogliente struttura dell’Associazione erano assiepate persone di diversa estrazione ed orientamento religioso, accomunate dall’interesse verso le questioni mediorientali. Il rituale saluto agli ospiti da parte degli organizzatori e la lettura di un salmo del Corano hanno introdotto l’intervento di al-Moussawi, per la prima volta presente in Italia. Il portavoce di Hezbollah - cui era affiancato un collaboratore che si è occupato di tradurre simultaneamente in lingua italiana le sue parole - ha dialogato in modo molto disinvolto rendendosi magnetico agli occhi di un attento pubblico. Avvalendosi di quanto riportato nel Corano, al-Moussawi ha anzitutto affermato un’ovvia verità che tuttavia sembra oggi esser stata seppellita: anche gli imperi apparentemente più invulnerabili sono destinati, prima o poi, a cedere. Questo sacro insegnamento ha generato quell’anelito rivoluzionario che in Iran, nel 1979, grazie all’impulso fondamentale dell’Imam Khomeini, sfociò con l’affermazione della Repubblica Islamica dopo anni di monarchia. Una premessa che al-Moussawi ha considerato necessaria al fine di riconoscere a quanto seminato in Iran nel ’79 la fioritura della resistenza libanese ad Israele. E’ proprio ad Israele che il portavoce di Hezbollah imputa l’origine dei tanti contrasti che negli anni hanno infuocato il Medio Oriente, una veloce carrellata di esempi a tal riguardo sono serviti a rafforzare il concetto: citazione d’obbligo per l’occupazione della Palestina e la questione degli esuli, cause prime e principali di conflitto in quella regione. Al-Moussawi ha ricordato come una cortina di inviolabilità internazionale aleggi intorno ad Israele, in diritto di perpetrare crimini senza risponderne nella stessa misura in cui avviene per altri paesi. A Israele è storicamente concesso di poter esercitare pressioni ed ingerenza nei confronti di governi stranieri; le recenti esternazioni di Netanyahu alle camere riunite, a Washington, ove il premier israeliano ha energicamente sgomberato ogni equivoco circa le parole di Obama che in molti avevano interpretato come un invito a Israele a ritornare ai confini del ’67, sono solo l’ultimo episodio che si colloca in questa prospettiva denunciata da al-Moussawi. La mancata osservanza delle Risoluzioni Onu da parte israeliana non genera quella mobilitazione internazionale che, citando ad esempio il motivo scatenante della "guerra del Golfo" nel ’90, avvenne invece quando l’Iraq di Saddam Hussein invase il Kuwait. Il motivo di questa disparità di giudizio occidentale è stato sintetizzato da al-Moussawi con queste sarcastiche parole: "Il Libano non ha petrolio ma olio d’oliva". L’eloquente rappresentante del "Partito di Dio" non ha poi mancato di indicare quale sia lo strumento più valido di cui dispongono Israele e i suoi alleati: non si tratta di un’arma da fuoco bensì del controllo mediatico, il quale ha la capacità di persuadere l’opinione pubblica e veicolare abilmente ipocrisie. Egli ha testualmente detto: "I media mirano a deformare le coscienze, quando affrontano temi legati al mondo arabo tendono a creare preoccupazione nell’opinione pubblica". Insomma, una denuncia verso il terrorismo mediatico che è propulsore di quello scontro di civiltà che tanto alligna negli animi di molti occidentali. Scendere su questo terreno di battaglia è dunque la via indicata da al-Moussawi al fine di essere "ambasciatori per la causa del proprio popolo", ossia svolgere contro-informazione, servendosi in particolare dell’enorme capacità aggregativa dei social network. In tal senso, egli ha citato le recenti rivolte arabe, le quali hanno il pieno appoggio di Hezbollah, a cui del resto gli animatori hanno espressamente detto di ispirarsi. Un distinguo ha tenuto a farlo circa la Siria (il cui governo baahtista di Assad è uno storico alleato di Hezbollah), dove non c’è una mobilitazione omogenea da parte della popolazione in quanto non è colpita da gravi indigenze. Intervento concluso tracciando una linea di continuità tra la resistenza libanese terminata nel maggio 2000 e le odierne rivolte arabe; linea di continuità che passa attraverso le parole d’ordine di liberazione dalle ingerenze straniere sulla propria terra. Uno scopo universale, che accomuna tutti quei popoli che intendono affermarsi liberi e ai cui giovani - afferma con tono ottimistico al-Moussawi - l’invito alla ribellione giunge dai loro coetanei che stanno infervorando di passione politica il mondo arabo.



Di Federico Cenci, http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3677:roma-ibrahim-al-moussawi-hezbollah-qliberazione-dalle-ingerenze-straniere-sulla-propria-terraq&catid=3:politica-estera&Itemid=35


mercoledì 25 maggio 2011

Medicine non convenzionali. L’omeopatia.


(ASI) Intervista al Dott. Tancredi Ascani, medico chirurgo perugino che pratica la medicina non convenzionale dell’omeopatia.



Dott. Ascani, quali sono le differenze concrete tra la medicina cosiddetta convenzionale e l’omeopatia?



La prima grande differenza è di natura filosofica. La medicina tradizionale indaga l’uomo secondo una visione materialista detta “riduzionista”: ha la pretesa cioè, di comprendere l’uomo andandolo a studiare nelle sue componenti più piccole (geni, cellule, enzimi ecc). Così facendo però si rischia di perdere di vista la “persona” nella sua totalità che non è una semplice macchina in cui le parti agiscono separatamente le une dalle altre. Nelle medicine non convenzionali l’attenzione invece è posta principalmente sulla “persona” e su tutti i fattori più importanti che influiscono sulla sua vita. Le faccio un esempio: quando compilai le mia prima cartella clinica in ospedale mi imbattei in una paziente sulla sessantina piena di problemi sia fisici che psicologici, ricoverata più volte e sempre dimessa con lunghe prescrizioni di farmaci, uno per ogni disturbo che la affliggeva. La paziente però stava sempre peggio. All’epoca io già frequentavo la Scuola di Omeopatia e sapevo bene che l’aspetto psicologico e il vissuto del paziente sono sempre di vitale importanza per comprendere le cause che hanno portato alla malattia. La signora mi riferì infatti che tutti i suoi mali erano iniziati dopo la morte del marito. In omeopatia questa è un’informazione importantissima e la scrissi subito nella mia cartella clinica. La diagnosi l’aveva praticamente già fatta il paziente e da qui, secondo la visione omeopatica, si doveva partire per impostare la terapia. Il mio entusiasmo fu però presto frenato quando diedi la cartella clinica al primario del reparto che mi seguiva il quale, con assoluta indifferenza, mi disse subito di cancellare quell’appunto in quanto privo di qualsiasi utilità ai fini diagnostici e terapeutici. Ecco qual’è la differenza tra omeopatia e medicina tradizionale.



Come agisce la medicina omeopatica all’interno del nostro corpo?



I rimedi omeopatici agiscono stimolando la nostra “Forza Vitale”, quella che in termini moderni può essere definita come “omeodinamica” cioè la capacità che ha l’organismo di conservare costante il suo equilibrio interno, adattandosi di continuo all’ambiente esterno che è sempre mutevole. L’omeopatia, in accordo con le più recenti acquisizioni scientifiche derivateci dalla fisica quantistica e con le tradizioni millenarie delle civiltà orientali, non si limita allo studio della materia (apparati, organi, cellule…) ma diventa studio e manipolazione delle dinamiche dell’energia che pervade e governa ogni essere vivente.



I virus e i batteri sono ovunque, ma solo alcune persone si ammalano, L. Pasteur, padre della microbiologia moderna, verso la fine della sua vita arrivò a dire “…il terreno è tutto, ben più importante del microbo”. Cosa ne pensa?



Questa è una profonda verità che Pasteur, padre della microbiologia moderna, ammise solo nel suo letto di morte, dopo aver rincorso per tutta la vita l’obiettivo, controproducente e utopico, di poter debellare le malattie infettive costruendo armi (antibiotici e vaccini) sempre più potenti volte a distruggere ogni agente infettivo che può farci ammalare. I microrganismi però sono ovunque e non solo se il “terreno” (il nostro sistema immunitario) è forte non possono arrecarci nessun danno, ma sono anche di vitale importanza per l’uomo (si pensi alla flora batterica intestinale) e l’obiettivo non può essere quello di distruggerli. Basti pensare che siamo così pieni di batteri che il loro numero supera di un fattore di 10 a 1 il numero totale delle nostre cellule. Abbiamo più batteri che cellule! L’abuso indiscriminato di antibiotici e vaccini sta solo portando alla  selezione di germi sempre più patogeni e resistenti, e all’indebolimento delle nostre difese naturali.



Tutti possono curarsi con la medicina omeopatica?



Assolutamente si. L’estrema diluizione dei rimedi omeopatici li rende privi della tossicità dei farmaci tradizionali. Possiamo usarli quindi con sicurezza in ogni fascia d’età e in qualsiasi condizione sia fisiologica (ad esempio durante la gravidanza) che patologica. E’ bene affidarsi però sempre a medici competenti ed evitare il fai-da-te o i consigli di altre figure professionali. La diagnosi e la terapia omeopatiche costituiscono un “atto medico”.



La componente fisica, mentale e spirituale, è importante per la salute e la prevenzione?



L’uomo è costituito da queste tre componenti che sono indissolubilmente collegate e interagiscono di continuo tra loro. E’ su questi tre aspetti che bisogna intervenire per raggiungere o mantenere la vera salute.



Cosa pensa delle multinazionali del farmaco e delle pandemie “mediatiche”?



Le aziende farmaceutiche hanno come primo obiettivo il profitto, questo non va mai dimenticato. Sarebbe assolutamente controproducente per loro produrre farmaci che guariscano veramente le persone. Molto più proficuo è il poter disporre di milioni di malati cronici che dipendano a vita da più farmaci, ognuno per ogni disturbo. E quando i profitti calano un po’ di terrorismo mediatico su fantomatiche pandemie (vedi l’influenza suina o l’aviaria) o malattie inventate (disturbo da fobia sociale, sindrome premestruale ecc.) spesso rimette i conti a posto.



Ringraziandola per l’intervista, invito i lettori a visitare l’interessante sito del Dott. Tancredi Ascani: www.omeosan.it.



Intervista a cura di Fabio Polese, http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3656:medicine-non-convenzionali-lomeopatia&catid=19:interviste&Itemid=46


Diamo voce al silenzio. L'ACQUA NON SI TOCCA!



martedì 24 maggio 2011

Sacerdoti del progresso.


Anche il mito del progresso come qualunque manipolazione psicologica necessita di essere costruito con cura attraverso l’uso smodato della demagogia, il condizionamento del pensiero e la creazione di suggestioni che siano in grado di influenzare l’immaginario collettivo fino al punto di farlo collimare con il disegno di coloro che gestiscono il potere.


Gli artefici della manipolazione sono costituiti da tutti quei soggetti che a vario titolo concorrono alla formazione dell’opinione pubblica. Uomini politici, economisti, sindacalisti, giornalisti, pubblicitari, banchieri, scrittori, registi, personaggi dello spettacolo, manager di azienda, filosofi, sociologi ed opinion leader di ogni genere, si trovano nella condizione di partecipare alla costruzione di un pensiero dominante che possa essere condiviso dalla maggior parte dei cittadini. Tale pensiero è imperniato per forza di cose sugli obiettivi della crescita e dello sviluppo economico e li persegue in un’ottica di progresso basata sulla costruzione delle grandi opere, poiché solamente attraverso l’applicazione di questo modello i grandi gruppi di potere sono in grado di massimizzare i propri profitti.


La colonizzazione del linguaggio costituisce il presupposto attraverso il quale è possibile suggestionare, condizionare ed indirizzare l’immaginario collettivo nella direzione voluta.


Coloro che gestiscono la manipolazione sfruttano le parole, spesso distorcendone il reale significato, usandole come arieti in grado di penetrare la coscienza individuale plasmandola a piacimento sulla base di luoghi comuni, frasi fatte, esternazioni ad effetto che i cittadini una volta plagiati finiscono per accettare come verità incontrovertibili da porre alla base del proprio bagaglio di conoscenza.



 


Ad alcuni termini è stata impropriamente attribuita una valenza positiva a prescindere dal loro reale significato ed essi vengono ripetuti come un mantra in ogni occasione da qualunque personalità pubblica, anche qualora si caratterizzino come citazioni fatte a sproposito e completamente avulse dal contesto del discorso. Crescita, sviluppo, progresso, democrazia, libertà, giustizia, uguaglianza, nuovo, moderno, grande, veloce, strategico, prioritario, globale, ambiente, ecologia, competitività, opportunità, benessere, solidarietà, sostenibile, ricerca, unione, innovazione, tecnologia, cambiamento, futuro, concorrenza, prosperità, sicurezza, cooperazione, sono tutte parole che vengono utilizzate in maniera sistematica per giustificare le posizioni e le scelte messe in atto dai grandi gruppi di potere, avvalorandole come buone e positive per l’intera collettività.


 


I concetti di crescita e sviluppo hanno ormai assunto una valenza omnicomprensiva quali fondamenti di qualsiasi proclama politico, industriale, commerciale, finanziario, sociale, manifestandosi come obiettivi imprescindibili, falsi dispensatori di prosperità e benessere, nel nome dei quali ogni cosa diventa sacrificabile. Una grande opera dagli impatti ambientali e sociali devastanti, nuovi incrementi della tassazione, sofferenze economiche sempre più stringenti, annientamento dello stato sociale, scelte che mettono a repentaglio la salute dei cittadini, ridimensionamenti dei diritti dei lavoratori, decisioni pesantemente impopolari o eticamente improponibili, fra le quali anche la guerra, possono venire accettate di buon grado qualora siano presentate come "sacrifici" indispensabili per incrementare la crescita e lo sviluppo.


 


Almeno fino al momento in cui anche i sacerdoti cominciano a perdere la propria credibilità e dietro allo schermo luminescente della TV iniziano a trasparire i primi brandelli della realtà, basta aguzzare la vista, per rendersi conto che non è poi così difficile.



Di Marco Cedolin,
http://ilcorrosivo.blogspot.com/2011/05/sacerdoti-del-progresso.html

lunedì 23 maggio 2011

BOMBE REPUBBLICANE A DERRY.


A un giorno dalla partenza della regina d’Inghilterra dall’Eire, Derry vive un’altra giornata movimentata dalle bombe repubblicane



Verso le 13.20 di ieri, in pieno centro della cittadina nordirlandese, a pochi metri dal monumento militare dei caduti britannici, il “Diamond”, le squadre dell’esercito non hanno avuto il tempo per disinnescare l’ordigno che sembra – secondo gli inquirenti – essere stato lanciato all’interno di un’adiecente banca da tre uomini che indossavano un passamontagna.L’esplosione non ha provocato vittime ma grande paura tra la gente che in quel momento affollava i negozi della centralissima Shipquay street: “Ci hanno evacuato molto rapidamente poco prima delle 13 – raccontano i testimoni – ma vi è stata confusione sulla direzione da prendere e alcune persone sono state fatte camminare nella zona prima dello scoppio”.

Si è quindi ancora sfiorata la strage in pochi mesi di ripetuti attacchi nella cosiddetta “stroke-city”.

Contemporaneamente nell’area, erano attesi centinaia di attivisti del partito socialista repubblicano irlandese, l’
IRSP, a Derry per commemorare il trentesimo anniversario del martirio di Patsy O’Hara, Sands e compagni che si sono lasciati morire di fame nel 1981 a Long Kesh.

“Con questo terrorismo – reagiscono alcuni volontari del gruppo che fu di
Seamus Costello – noi non abbiamo niente a che fare, non ci appartiene ma diciamo chiaramente che non abbiamo capitolato ai reali britannici. Quello sarà un problema per Dublino”.

Parte delle “colombe” vicine all’Inla, infatti, sono in rotta di collisione con la base del Movimento per la Sovranità delle 32 contee (
32Csm) dopo l’arresto del suo leader la settimana scorsa, Marian Price.

“Non c’è unità – spiegano dagli ambienti della
Real Ira – né ci sono strategie comuni”.

Intanto cresce il timore umano e politico per la detenzione di
Marian Price e per quale forma di lotta, la repubblicana di West Belfast, deciderà di adottare.

In isolamento al piano della Roe House di
Maghaberry, l’ex hunger striker a cui Londra ha revocato la licenza di libertà, potrebbe rivelarsi un formidabile boomerang ai dirigenti dello Sinn Fein nella commissione giustizia e nell’azione del partito soprattutto nelle Sei contee.

Sinn Fein che però ancora oggi si è unito al coro delle condanne all’attentato al Diamond assieme ai socialdemocratici cattolici e al Dáil Éireann
(il parlamento irlandese) nella repubblica.

A fargli da eco nel nord, tutta la politica unionista e nazionalista ha espresso sdegno ma anche forte preoccupazione.

A commentare per primo la bomba, fresco di ritorno dall’incontro con Elisabetta II nella capitale, il primo ministro dell’esecutivo semi-autonomo della provincia, l’unionista Peter Robinson, ha ribadito il concetto che le dissidenze repubblicane armate “hanno solo da offrire morte e distruzione”.




di Andrea Varacalli,
www.avvenire.it


Prosegue la polemica sulla chiusura di Current TV da parte di Sky.


(ASI) Tutto ha inizio nella giornata di giovedì; nel pomeriggio precisamente, quando escono i primi comunicati stampa di Current TV - canale d’informazione noto per una linea editoriale indipendente - dai quali emerge la denuncia di un’inaspettata chiusura da parte di Sky, che ne ospita i palinsesti.



La sera, gli studi di “Annozero” hanno poi ospitato il suo fondatore Al Gore - vicepresidente degli Stati Uniti nell’era Clinton e rivale di George W. Bush alle presidenziali del 2000 -, il quale ha sfruttato il palcoscenico fornitogli dalla diretta tv in prima serata per ribadire il concetto: Rupert Murdoch (proprietario di Sky) starebbe conducendo una manovra d’ostruzionismo verso il canale Current TV per eliminare una voce scomoda e - sempre stando alle parole di Al Gore - per ingraziarsi il premier Berlusconi, con il quale il magnate australiano starebbe trattando per i diritti nel digitale terrestre. Infine, l’ex vicepresidente americano si è speso in un appello rivolto ai telespettatori Sky: “Italiani, soltanto voi potete cambiare le cose. Telefonate a Sky o mandate delle mail per esprimere il vostro dissenso sulla chiusura di Current. Per chi racconta la verità in Italia - ha concluso - non c'è momento più critico di questo”.



La mobilitazione auspicata da Gore non s’è fatta attendere, come era d’altronde prevedibile, dati i successi ottenuti dal 2008 (anno di fondazione della versione italiana) ad oggi da parte del canale Current TV: vincitore dell’Hot Bird Awards 2010 e indicato dai telespettatori come uno dei migliori prodotti televisivi in termini di documentari e inchieste. Telefonate e mail di protesta sono piovute addosso al colosso Sky già dalla mattina di venerdì, per chiedere di non oscurare un’espressione di libertà qual è Current TV. La risposta da parte di Sky è giunta mediante un comunicato che ribalta i termini della questione, rifiuta categoricamente la tesi del complotto e fa risalire le cause della chiusura a questioni meramente economiche. Il comunicato di Sky dichiara, infatti, che Current TV avrebbe declinato una proposta di rinnovo in linea con il mercato, chiedendo il doppio dei soldi offerti. Richiesta giudicata “decisamente troppo alta, specie in relazione alle recenti performance del canale”. Conclude il comunicato con un contro-appello (coniugato al singolare) ai telespettatori: “Se davvero desidera che Current TV rimanga in Italia, scriva a Joel Hyatt (socio di Al Gore, ndr) e gli chieda - con la stessa determinazione con cui ha scritto a me - di accettare la nostra offerta, come hanno fatto tantissimi editori, e noi saremo molto felici di avere Current TV su Sky per altri tre anni”.



Soltanto questioni di ascolti e vil danaro, dunque? Neanche per sogno! - tuonano da Current TV. Poche ore dopo, la guerra dei comunicati ha avuto una nuova puntata, dagli uffici di Current TV è partita la risposta alla versione fornita da Sky. Si accusa l’emittente satellitare di prendersi gioco dei propri abbonati: “Dite a Sky di smettere di mentirvi”. “Non abbiamo mai chiesto - prosegue Current TV - 10 milioni di dollari: vi stanno dicendo una bugia. I nostri ascolti non sono mai calati, anzi nel corso dell'ultimo anno sono sempre cresciuti. Rispondete a Sky - conclude la lettera - di fare a Current un'offerta corretta”. Proprio nelle ultime ore, Current TV sta diffondendo un’ulteriore nota a conferma della natura politica e non commerciale della chiusura imposta da Sky, pubblicando un fax dello scorso 22 aprile in cui Tom Mockridge, amministratore delegato di Sky Italia, dà il benservito a Joel Hyatt, tre settimane prima dell’offerta triennale sventolata ieri da Sky come prova della sua buona fede e della volontà di mandare avanti le trasmissioni. Si fa riferimento alla cancellazione del canale avvenuta senza alcuna possibilità di negoziazione e senza alcuna offerta di rinnovo; decisione tanto perentoria da essere accompagnata soltanto dalle necessarie note relative al licenziamento in tronco dell’intero staff italiano. Current TV sollecita il pubblico ad un “ulteriore sforzo”, ovvero contattare i centralini telefonici di Sky e disdire l’abbonamento, qualora Sky non si decida a proporre un’offerta economica accettabile a Current TV per mantenere in vita il canale. Contro gli annunciati licenziamenti, per il prossimo lunedì 23 maggio, intanto, previsti scioperi e presidi a Roma (a Montecitorio) e a Milano (alla sede Sky di Rogoredo 1) da parte dei dipendenti Current TV.



Una spinosa questione che trova nel Belpaese un campo di battaglia adeguato, poiché si innesta nel solco delle polemiche di questi giorni intorno ai problemi della libertà d’informazione e dell’occupazione.



Di Federico Cenci, http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3618:prosegue-la-polemica-sulla-chiusura-di-current-tv-da-parte-di-sky-&catid=16:italia&Itemid=39


venerdì 20 maggio 2011

"Anime candide" rispondono. Sulla Palestina.


Queste poche righe sono uscite oggi nel giornale locale Free Press Perugia, in risposta ad una mail-lettera arrivata in Redazione su un precedente comunicato pubblicato nello scorso numero che chiedeva la “no fly zone” anche su Gaza (il comunicato in questione è visibile al seguente link: www.controventopg.splinder.com/post/24381765/no-fly-zone-su-gaza).



Dopo averla ringraziata per avermi definito ripetutamente “anima candida”, passo subito alla mia presentazione: mi chiamo Fabio Polese e da freelance, collaboro con diverse testate giornalistiche sia nazionali che locali. Detto questo, ho trovato nel suo scritto un antipatico livore manifestato nei miei confronti. Fino a prova contraria l’Articolo 21 della Costituzione garantisce ai cittadini la libertà di opinione. Ora entriamo nel merito delle sue disamine. In primo luogo, mi sembra che lei si sia dimenticato di specificare che anche Israele è un importante membro dell’O.N.U. e che dunque avrebbe sempre dovuto conformarsi e rispettarne le deliberazioni, al contrario di come ha agito regolarmente. Nel “Rapporto Goldstone” vengono chiaramente rilevati e descritti i crimini commessi  dall’esercito israeliano a Gaza; città palestinese dove si è consumata una sanguinosa guerra tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009. Il conflitto ha visto l’uccisione di circa 1.400 palestinesi, molti dei quali inermi civili.  Il rapporto è stato scritto da Richard Goldstone – a capo della missione O.N.U. per verificare cosa è successo a Gaza -. Inutile dire poi che nel suo recente articolo uscito sul  Washington Post il 1 aprile 2011,  Goldstone, sostanzialmente conferma, ergo, non ritratta, le sue precedenti conclusioni in merito alla vicenda. A conferma di quanto affermo le segnalo dove potrà trovare il contenuto dell’articolo sopra menzionato: http://www.washingtonpost.com/opinions/reconsidering-the-goldstone-report-on-israel-and-war-crimes/2011/04/01/AFg111JC_story.html. Successivamente, nei primi giorni di aprile 2011 il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che lancerà una campagna internazionale per richiedere all’O.N.U. di non tenere conto del “Rapporto Goldstone”. Non le sembra strana la cosa? Ma proseguiamo, la Palestina storica era stata divisa dalle Nazioni Unite nel 1947 in due settori: uno palestinese con il 45% del territorio e uno israeliano con il 55%. Poi lo Stato di Israele nel 1948 si è preso il 78% del territorio, sottraendo ai palestinesi più del 30% di quello che le Nazioni Unite avevano destinato alla Palestina. A lei tutto ciò non risulta?  Di più, conosce la “Guerra dei sei giorni” del 1967? E il continuo susseguirsi di una politica coloniale perpetrata da Israele in medio oriente nel pieno degli anni novanta? Gli effetti negativi dovuti a questi misfatti, attuati senza che nessun organismo internazionale impedisse ad Israele di commetterli, sono stati devastanti per tutti i palestinesi. Le basti pensare che il popolo di Gaza è composto da 1,5 milioni di abitanti e, 900.000 di questi, abitano nelle tendopoli dei campi profughi in condizioni umanitarie disastrose. Il blocco delle importazioni e delle esportazioni logora continuamente Gaza. I dati che ci vengono forniti non sono allarmanti, di più: il 93% delle industrie sono chiuse, oltre il 70% della forza lavoro disoccupata e l’88% della popolazione vive di aiuti sotto la soglia di povertà. Per queste ragioni non le sembra lecito che un palestinese lotti per il diritto alla sua esistenza sia come popolo e sia come stato libero, sovrano ed indipendente? Vogliamo ricordare pure l’attacco alla“Freedom Flottila” del 31 maggio del 2010 che provocò nove morti e numerosi civili feriti? Vogliamo parlare delle continue incursioni militari che colpiscono ancora oggi anche donne e piccoli bimbi innocenti? Ma davvero vuole paragonare i lanci di “razzi” effettuati da gruppi palestinesi, di cui non si capisce la logica politica se non quella di favorire e “legittimare” la reazione dell’esercito israeliano, con i bombardamenti al fosforo bianco compiuti da Israele? E davvero crede che ad uccidere Vittorio Arrigoni siano stati i Salafiti? Ma chi sono i Salafiti? Me lo saprebbe spiegare? Purtroppo, per questioni di spazio non posso dilungarmi, ma le assicuro, di cose oggettive da dirle ce ne sarebbero tante e purtroppo, anche troppe. Io non vivo nel “volemose bene” come ha erroneamente interpreto lei, io vivo in un mondo dove spero venga rispettato il diritto internazionale ed affermata la giustizia. Per quanto attiene alla mia preparazione culturale, le confermo che con umiltà continuerò a studiare perché non mi piace camminare, voglio correre. Ma da uomo libero.



Fabio Polese – Ass. Cult. Tyr Perugia


E’ possibile scaricare la pagina del giornale in .pdf al seguente link: www.free-press.it/013.pdf (troverete anche lo scritto di Raggiotti Leandro)

mercoledì 18 maggio 2011

Usa: chi è il terrorista?


L’Occidente si considera una “cultura superiore” (nuovo conio del razzismo, essendo diventato quello classico impresentabile dopo Hitler), ritiene di avere i valori migliori, anzi assoluti, e quindi il dovere morale di imporli, abbattendo dittature, autocrazie, teocrazie e quei Paesi, come l’Afghanistan talebano, dove si pratica l’intollerabile sharia (ma la sharia non c’è anche in Arabia Saudita?

E che c’entra? Quelli sono alleati).

E vediamola allora, a volo d’uccello, la storia della “cultura superiore”.

Dal 1500 al 1700 portoghesi, spagnoli e inglesi si specializzarono nella tratta degli schiavi (la schiavitù era scomparsa da mille anni, col crollo dell'impero romano). Ma nel 1789 arrivò la Rivoluzione francese con i suoi sacri principi: libertè, egalitè, fraternitè. Peccato che l’800 sia stato il secolo del colonialismo sistematico europeo. I “sacri principi” non valevano per gli altri.

Gli Stati Uniti, gli attuali campioni della morale occidentale, hanno alle loro origini un genocidio infame e vile (winchester contro frecce) che non disdegnava l’uso delle “armi chimiche” dell’epoca (whisky). Sono stati gli unici, in epoca moderna, a praticare, sul proprio territorio, la schiavitù, abolita solo nel 1865 e hanno avuto l’apartheid fino a 50 anni fa. Nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale questi corifei dei “diritti umani” bombardarono Berlino, Dresda, Lipsia mirando appositamente ai civili, fra cui fecero milioni di morti, “per fiaccare il morale del popolo tedesco” come dissero esplicitamente i loro comandi e sono l’unico Paese al mondo ad aver usato l’Atomica.

Sgretolatosi il contraltare sovietico hanno inanellato, in vent’anni, cinque guerre. Il primo conflitto del Golfo poteva avere qualche ragione perchè Saddam aveva invaso il Kuwait, peraltro uno Stato fasullo creato nel 1960 per gli interessi petroliferi Usa. Ma le guerre bisogna anche vedere come le si fanno. Per non affrontare fin da subito l’imbelle esercito iracheno bombardarono per tre mesi le principali città dell’Iraq. Sotto le luminarie che ci fece vedere il prode Del Noce morirono 160 mila civili, di cui 32.195 bambini (dati del Pentagono). 32.195 bambini. Quando lo scrivo o lo dico mi immagino che i miei connazionali, “italiani brava gente”, siano percorsi da brividi di orrore. Ma non è così.

In questo momento, a detta della Tv di Stato, gli italiani e le italiane sono dilaniati dal lacerante dilemma: “Poichè la moda quest’anno non ha dato indicazioni, quale dovrà essere la lunghezza della gonna la prossima estate: al ginocchio, sopra, sotto, mini, maxi?”. Poi c’è stata l’aggressione alla Serbia del tutto immotivata (“Gli stupri etnici! Gli stupri etnici!”. I debosciati occidentali, che vanno a comprare le bambine e i bambini a Phuket, proiettano la loro ombra: vedono stupri dappertutto). I morti furono 5500. In Afghanistan sono, per ora, 60 mila, la maggioranza provocata, secondo un rapporto Onu del 2009, dai bombardieri Nato, spesso droni, aerei senza equipaggio teleguidati da Nellis nel Nevada. Gli occidentali, si sa, hanno uno stomaco delicato, gli fa orrore il corpo a corpo, il sudore, la vista del sangue. Gli sembra più morale schiacciare un bottone, fare qualche decina di morti a 10 mila chilometri di distanza e poi andarsene a cenare a casa.

In Iraq i morti sono stati 170 mila. Il calcolo è stato fatto, in modo molto semplice, da una rivista medica inglese confrontando i decessi degli anni di Saddam con quelli degli anni dell’occupazione. Per la Libia i calcoli li faremo alla fine. Rimaniamo sul certo. Le cinque guerre occidentali hanno causato circa 400 mila vittime civili, il terrorismo internazionale circa 3500. Un rapporto di 110 a uno. E allora chi è il terrorista?



Di Massimo Fini, da http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=38782


La Regina inglese è arrivata a Dublino. Allarmi bomba e contestazioni.


(ASI) Il previsto arrivo della Regina Elisabetta II in terra d’Irlanda ha provocato diverse contestazioni: scontri e allarmi bomba. Il clima, da diversi giorni, era irrespirabile. Fermi e arresti erano stati fatti ad alcuni esponenti – anche di spicco – dei movimenti nazionalisti repubblicani. Anche Marian Price, leader del 32 C.S.M., è stata arrestata perché accusata di appoggiare il gruppo paramilitare della Real Ira. Nel mio recente viaggio in Irlanda, avevo notato, in ogni dove, adesivi e manifesti che dichiaravano apertamente che la Regina inglese non era ben accetta. E così è stato. C’era da aspettarselo. Ieri, un allarme bomba nel pieno centro di Londra era stato rivendicato dai dissidenti della causa repubblica. Sempre ieri, a Dublino, un’altra bomba, trovata all’interno di un autobus, è stata disinnescata proprio nella strada che la Regina doveva percorrere. Un altro allarme bomba – poi rilevatosi falso - è stato segnalato nella linea tramviaria della Luas a Dublino. Sempre ieri, a Derry – nord Irlanda - , un autobus è stato dato alle fiamme da tre uomini armati a volto coperto. Alcuni giorni fa l’intelligence inglese aveva scoperto che gruppi paramilitari irlandesi avevano tentato di acquistare missili e lancia razzi. Le misure di sicurezza adottate per l’arrivo della Regina e del Primo Ministro di Londra, David Cameron, sono altissime. Oggi, mentre la Regina Elisabetta II - primo regnate britannico a visitare l’Irlanda dall’indipendenza del 1922, l'ultimo Re inglese a Dublino era stato Giorgio V nel 1911 - ha deposto una corona di fiori al “Giardino della Memoria” di Dublino che ricorda i caduti per la causa dell'indipendenza irlandese, sono iniziate le prime forti contestazioni. Un centinaio di sostenitori dell’Eirígí – il partito socialista e repubblicano - sono arrivati al cordone formato dai poliziotti della Garda a Parnell Street – a poca distanza dall’incrocio con O’Connell Street -. Altri contestatori, invece, si sono riuniti vicini alle strade intorno al “Giardino della Memoria”. Altri ancora, aderenti al Republican Sinn Fein, si sono radunati dietro le barriere a nord di Parnell Street. A trenta anni dalla morte di Bobby Sands, fulgido esempio di martire per la causa irlandese, non è stato dimenticato che la Regina Elisabetta II sosteneva l’allora primo ministro Margaret Thacher complice della morte di dieci prigionieri politici.



Di Fabio Polese,
http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3554:la-regina-inglese-e-arrivata-a-dublino-allarmi-bomba-e-contestazioni&catid=15:estere&Itemid=40


martedì 17 maggio 2011

"Io ho quel che ho donato", il 5 x 1000 a Popoli


La Comunità Solidarista Popoli Onlus è impegnata dal 2001 a fianco del popolo Karen e di quello palestinese.



Il Popolo Karen viene perseguitato dal 1949 dal regime militare birmano. Per ragioni etiche i Karen combattono con coraggio contro la produzione ed il commercio di sostanze stupefacenti. Aspirano all’autonomia e al mantenimento della propria identità. Dal 1948 il popolo Palestinese subisce la violenta occupazione della sua terra da parte di un regime di apartheid basato sulla discriminazione razziale e religiosa. Ad almeno cinque milioni di profughi è negato il diritto di tornare nel loro paese. 



Il vostro aiuto si traduce in: assistenza sanitaria  gratuita per 15.000 persone nei territori di guerra della Birmania Orientale, costruzione di cliniche e di scuole, istruzione per 300 bambini di etnia Karen, istruzione di personale paramedico di etnia Karen impiegato in quattro cliniche e in diversi team mobili, assistenza sanitaria di emergenza in occasione di combattimenti e di attacchi alla popolazione civile, fornitura di sementi e attrezzi agricoli per famiglie di contadini, costruzione di villaggi per i profughi che rientrano in territorio Karen, adozione a distanza di piccoli orfani palestinesi, fornitura di farmaci e di strumentazione sanitaria a presidi medici a Gaza e nei campi profughi palestinesi in Libano.



Compilando il modulo per la dichiarazione dei redditi, indicate nel riquadro del Sostegno al  Volontariato il numero di codice fiscale/partita IVA della Comunità Solidarista Popoli Onlus: 03119750234.



Per maggiori informazioni potete visitare il nostro sito: www.comunitapopoli.org o contattare la sezione perugina della Onlus: 346.8872982


lunedì 16 maggio 2011

Nel 63° anniversario della Nakba l’esercito israeliano spara. Morti e feriti.


È stata una domenica di fuoco quella di ieri nel il 63° anniversario della costituzione dello stato di Israele. Con la Nakba (catastrofe) iniziò l’esodo di centinaia di migliaia di palestinesi. Ieri, nei confini di Israele, si sono verificati scontri con morti e feriti causati dagli spari dell’esercito israeliano.



Questo il resoconto dell’Agenzia Stampa Infopal.it:



Cisgiordania. Il ministro della Difesa di Israele, Ehud Barak, ha disposto un cordone di sicurezza assoluto in tutta la Cisgiordania, mentre i coloni israeliani hanno chiesto all’esercito di usare il pugno di ferro contro le manifestazioni palestinesi previste nella giornata.  Il Consiglio dei coloni ha proposto di mettere al bando qualunque manifestazione pubblica palestinese in concomitanza con la Nakba.



Ad al-Quds (Gerusalemme) è stato preordinato un piano di sorveglianza particolarmente rigido. Ad ‘Essawiyah, a nord della Città santa, sono sorti scontri con i residenti palestinesi, sei dei quali sono stati arrestati dalle forze d’occupazione israeliane. A decine, i palestinesi hanno tentato di dirigersi verso Qalandiya, in direzione di Ramallah, ma l’esercito israeliano ha risposto con proiettili e gas lacrimogeni.



150 sono rimasti feriti mentre 20 sono stati i feriti ad al-Khalil (Hebron), i cui ingressi principali erano stati sbarrati e i terreni agricoli circostanti devastati dai militari israeliani.



Arresti e feriti negli episodi pubblici a Walajah (Betlemme); altre numerose marce si sono svolte in direzione dei check-point fuori dei centri cittadini nel nord della Cisgiordania.



Striscia di Gaza. numerosi palestinesi hanno tentato di raggiungere il valico di Eretz (Beit Hannun), a nord di Gaza), ma l’artiglieria ha lanciato un’offensiva: oltre 120 cittadini sono stati feriti, molti sono gravi.



Il nostro corrispondente ha riferito che “tra le vittime vi sono numerosi bambini e un giornalista”.

Tutti sono stati soccorsi tra l’ospedale Kamal ‘Adwan (nord) e ash-Shifa (Gaza City).

Il corpo non identificato di un 18enne palestinese è stato rinvenuto senza vita a poche ore dall’attacco israeliano, ad est di Gaza City.



Ancora, ad ‘Amman, 25 manifestanti sono stati feriti nella repressione della polizia. I presenti hanno tentato di raggiungere il confine con la Cisgiordania. Alla folla di duemila persone si sono uniti anche numerosi internazionali e, similmente a quanto hanno chiesto ieri studenti e cittadini egiziani, anche in Giordania i manifestanti hanno spinto per l’espulsione dell’ambasciatore di Israele.



Altre aree della Giordania sono state interessate ieri da sit-in e raduni in ricordo del 63° anniversario della cacciata dei palestinesi.



Siria. Centinaia di palestinesi e siriani hanno manifestato a Majdal Shams, a nord delle Alture del Golan. Qui a decine sono rimasti feriti mentre quattro sono stati uccisi.



Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, presente ieri a Gerusalemme ha dichiarato a Shimon Peres la speranza “che entrambe le parti creino le condizioni per la ripresa del negoziato diretto tra israeliani e palestinesi prima di qualsiasi decisione all’assemblea generale delle Nazioni Unite di settembre” – e ha proseguito – “l’Italia sostiene fermamente i diritti di Israele di esistere e di esistere in sicurezza”.



http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3529:nel-63d-anniversario-della-nakba-lesercito-israeliano-spara-morti-e-feriti&catid=3:politica-estera&Itemid=35


Referendum 12 - 13 giugno: 4 SI.


Vi sembrerà forse strano che io, Rutilio Sermonti, allergico a qualsiasi forma di “ludi cartacei”, venga ad invocare da tutti voi il massimo impegno proprio in occasione di una tornata di essi, e cioè dei quattro referendum abrogativi fissati per il 12-13 giugno prossimi.   E’ che ci troviamo davanti a una smaccata frode con cui i mascalzoni che si sono appollaiati sugli scranni del potere intendono defraudare il popolo anche di quel piccolo residuo di sovranità che consiste nell’arma referendaria, con cui, a differenza che nelle elezioni politiche, è dato al votante di esprimere una volontà, e non soltanto una delega in bianco.   Anche per i referendum, sia chiaro, valgono tutte le altre gravi riserve che noi opponiamo al voto anonimo e non qualificato, determinato in massima parte con espedienti persuasori sub-liminali, con illusionismi e con ricatti, ma in certi casi, quando una “opinione pubblica” si sia autonomamente affermata, può darsi il caso che -cosa rara in democrazia- la volontà del popolo abbia una qualche voce in capitolo.   La cosa altamente preoccupa il grasso servidorame degli usurai regnanti che si suole definire “classe politica”. Essendo però preclare caratteristiche di essa il modesto livello intellettuale e culturale, anzichè contrastare con argomenti quelli dei fautori del referendum abrogativo, magari abusando della profusione di mass media pubblici e privati di cui dispone, preferisce adottare sistemi più grossolani e disonesti, ma di probabile successo. I principali sono due, che vanno a integrare il dato di partenza del diffuso disinteresse per la politica, che fa ormai di quello astensionista il più numeroso dei partiti. Uno consiste nell’esprimere i quesiti referendari in termini tali che la maggioranza dei “consultati” non ci capisca niente, o capisca il contrario. Si comincia dalla formulazione abrogativa, per cui, volendo dire NO a una legge, occorre votare SI. Sarebbe bastato chiedere: “volete conservare?” anzichè :”volete abrogare?” e nessun equivoco sarebbe stato possibile. Ma poi, tutto il gergo giuridico-burocratico in cui i quesiti vengono sottoposti ai votanti è del tutto incomprensibile a chi non sia un giurista nè un burocrate, bensì una casalinga, un contadino o un operaio edile: quelli che fanno “quoziente”.   L’altro metodo consiste nel fare in modo che i votanti non raggiungano il 50% fissato dall’art. 39 della Legge 357/70 sui referendum. Come? Col silenzio-stampa, e soprattutto col silenzio-TV. Quei pochi che fanno la fatica di leggere i giornali, più o meno, dell’esistenza di un referendum ne hanno notizia. Ma gli altri, i più, i bulimici di piccolo schermo, che ne sanno ? E anche i primi, per quasi la metà, mugugnano “non m’interessa” o “non ne capisco”. Ognuno dei destinatari può fare il piccolo sondaggio personale che ho fatto io.   Ora, noi sappiamo bene che non c’è nessuno, dai vecchi ai lattanti, a cui il successo del SI “non interessa”, e soprattutto dei quesiti 2 (privatizzazione del servizio idrico) e 3 (ritorno al nucleare). Non occorre certo che sia io a illustrare a voi, molti dei quali possono essermi maestri, l’importanza enorme dell’abrogazione di quelle leggi demenziali, vere frecce del Parto della plutocrazia in agonia. Non si tratta dell’effetto Fukushima. E’ che l’illimitata disponibilità di energia artificiale non è un bene: è una calamità; è il primo fattore materiale della degenerazione umana; è il maggiore alleato di Mammona.   Ogni uomo di buona volontà deve sentire il dovere di impegnarsi per far fallire la sporca manovra che trasformerebbe la vanificazione del referendum in un trionfalistico alibi per i criminali. Nessuno si senta sminuito a parlare il linguaggio delle zolle, delle cucine, delle catene di montaggio e, magari, delle carceri. Ma vi chiedo di trasformarvi tutti, per breve tempo,  in maestri elementari, per far capire agli umili quello che non si vuole che capiscano, per spiegare loro l’importanza e il significato dei “QUATTRO SI”, per implorarli, se occorre, di non farsi sfuggire questa occasione rara di troncare tentacoli alla piovra.   Per uomini come voi, ogni altra parola sarebbe superflua. Enos, Lases, iuvate !  



Rutilio Sermonti


Santachè: Bugie, disinformazione e pregiudizi


(ASI) Giovedì scorso, in prima serata, gli spettatori di Anno Zero hanno potuto assistere ad una delle esibizioni televisive più tipiche di un certo modello di politico: quello in cui prevalgono doti di sensazionalismo e di sopraffazione verbale rispetto alla capacità di far valere i contenuti delle argomentazioni che si portano.



 Il merito di averci proposto questo spettacolo - si fa per dire - va attribuito all’onorevole Daniela Santanchè, capace - c’è da riconoscerglielo - di catalizzare per diversi minuti le attenzioni dell’intero studio di Rai Due - Santoro compreso - intorno ad una questione da lei stessa montata, rivelatasi poi una clamorosa impostura.                                                                                                                                                  

Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio - evidentemente intenzionata ad alimentare le polemiche che stanno accompagnando la campagna elettorale per le comunali di Milano - ha denunciato la presenza di una bandiera dell’organizzazione palestinese Hamas durante un incontro elettorale del candidato sindaco della sinistra, Giuliano Pisapia. Mostrando, infatti, alle telecamere una pagina del quotidiano La Repubblica nella quale era pubblicata un’immagine dell’incontro elettorale in questione, Daniela Santanchè ha sbottato: “Qual è l’unica bandiera che sventola? E’ la bandiera di Hamas, coloro che vogliono cancellare lo Stato d’Israele”. Agitati gli spettri del terrorismo palestinese, la pidiellina ha creduto di avere buon gioco nell’attaccare il candidato sindaco del PD: “Che oggi Pisapia si metta il vestito da moderato me ne infischio, è ridicolo. Perché il presente di Pisapia è la bandiera di Hamas”. Il monologo della Santanchè è proseguito incontrastato nel silenzio del resto degli ospiti in studio, sebbene le telecamere che indugiavano sulla foto avessero già fornito agli spettatori padroni di un minimo di cognizione di causa geopolitica un’altra verità rispetto a quella gridata dall’ospite pidiellina: la bandiera non è di Hamas. Prima di lanciare la pubblicità, il conduttore Santoro, riferendosi alla Santanchè, ha tuttavia lanciato un’anticipazione: “Le do la notizia: dopo la pubblicità le dirò di chi è in realtà quella bandiera”. A seguito della trepidante attesa di quanti, tra gli spettatori del programma, auspicavano un ripristino della dialettica su basi reali e non su allusioni fasulle, il ritorno dalla pubblicità ha concesso loro un respiro di sollievo: Santoro svela l’arcano, spiegando che la bandiera è quella dell’organizzazione Freedom Flottilla, il cui simbolo (una colomba della pace) è stato disegnato da Vauro, ospite fisso ad Anno Zero e, dunque, chiamato in causa. “La Freedom Flottilla - incalza il vignettista toscano - porterà aiuti umanitari a Gaza, che è una città sotto assedio”. Come a dire: che c’entra la solidarietà con il terrorismo? Come si può prendere una simile cantonata in diretta tv? Eppure, la volitiva Santanchè non demorde e contrattacca senza imbarazzi: “Allora Vauro ha sulla coscienza qualche morto. Lei, Vauro, sa bene che quando c’è stata la forzatura sulla protezione navale di Israele, questa bandiera è stata trovata ed era lì su quella nave”. Il riferimento è a quanto avvenne lo scorso 31 maggio nelle acque al largo di Gaza, quando nove attivisti del primo carico di navi Freedom Flottilla vennero uccisi dal fuoco dell’esercito israeliano. Fa specie che, stando ancora alle parole di Vauro, quella bandiera un anno fa “non era stata ancora disegnata”. Ergo, doppia cantonata per la Santanchè. Nota a margine: talvolta anche il re della finzione, ossia il tubo catodico, resta nudo agli occhi dei telespettatori.



Intanto nel pomeriggio di sabato, a Roma, si è svolta una manifestazione a sostegno della seconda missione di Freedom Flottilla, la quale partirà tra poche settimane dal porto di Genova e sarà composta da navi provenienti da venticinque paesi diversi. Il corteo si è concluso in Piazza Navona, dove un breve comizio ha visto l’intervento - tra gli altri - proprio del vignettista Vauro, applauditissimo oggi dopo aver smentito in diretta tv l’altro ieri l’onorevole Santanchè.



Di Federico Cenci, www.agenziastampaitalia.it