venerdì 30 settembre 2011

Marian Price, prigioniera dell’odio britannico.


È l’unica donna in Europa rinchiusa in una prigione maschile. Marian Price, leader del 32 County Sovereignty Movement e dell’IRPWA (Irish Republican Prisoners Welfare Association), è ancora oggi detenuta in un’ala del carcere di Maghaberry, il penitenziario poco fuori Belfast nel quale le autorità britanniche internano i repubblicani irlandesi. Dopo le persecuzioni continue, i frequenti stop and search (la pratica della polizia britannica di fermare e perquisire senza alcun tipo di prova ma solo in base al Terrorism Act) subiti negli ultimi anni, nel maggio scorso Marian è stata arrestata. La licenza di libertà della quale godeva è stata revocata immediatamente per decisione diretta del segretario di Stato britannico per l’Irlanda Owen Paterson nonostante la grazia conferitale nel 1981. Marian Price e sua sorella Dolours furono militanti dell’Ira e tra le persone fermate per la bomba fuori dall’Old Bailey a Londra nel 1973, quando una persona rimase uccisa e circa 200 furono ferite. Detenute in Gran Bretagna furono in seguito trasferite in una prigione nordirlandese dopo 200 giorni di sciopero della fame. Si oppose al Good Friday Agreement e alla decisione dello Sinn Fein di eliminare degli arsenali dell’Ira.

Oggi impegnata nel 32 Csm e in favore dei prigionieri polititi repubblicani, Marian a visto revocata la sua licenza dopo essere stata accusata di aver procurato beni, fra i quali un cellulare, per l’attacco di Massereene del marzo 2009 in cui sono stati uccisi due soldati britannici e per il quale quest’anno verranno processati Colin Duffy e Brian Shivers. Marian Price “era stata interrogata originariamente su queste cose nel novembre 2009”, 18 mesi prima dell’arresto, afferma il suo avvocato. E in 18 mesi nulla era cambiato, nessuna nuova prova è stata infatti portata dagli inquirenti britannici per motivare l’arresto della responsabile del 32 Csm. Il potere di revoca della libertà è un’arma, una minaccia costante che pende sulla testa di ogni prigioniero repubblicano rilasciato sotto licenza. Le autorità britanniche lo utilizzano per indurre i militanti repubblicani all’inattività. Ma Marian non ha mai ceduto di fronte a questa minaccia e ora paga per la sua tenacia: costretta all’isolamento nella prigione maschile di Maghaberry, anziché in quella femminile di Hydebank Wood. È infatti la sola prigioniera nella Glen House e di recente un deputato del DUP ha sollevato una polemica sul denaro speso per adeguare questa zona del penitenziario alla permanenza di una donna. Per uniformarla agli standard della prigione femminile di Hyebank Wood sono state infatti spese poco più di 2.000 sterline.

Un “insulto” per Lord Morrow. “Cos’hanno di tanto speciale i prigionieri da dover vivere nel lusso”, ha affermato, “sembra che lei (Marian, ndr) viva in una suite di un hotel e non in una cella”. In questa “suite” c’è la tv con un lettore dvd, una lampada, dei quadri, un computer, una tendina, un piumino, un tappetino e cuscini; nella sala di ricreazione c’è un altro televisore a schermo piatto, un altro lettore dvd, un tavolino, una libreria e un altro tappetino. Nel cortile sono stati messi una panchina e diciotto vasi di fiori. Probabilmente, per Marian, Morrow preferirebbe la condizione nella quale sono costretti i detenuti maschi di Maghaberry, che da settimane portano avanti una dirty protest contro il mancato rispetto dell’accordo che poco più di un anno fa venne firmato dai rappresentanti dei prigionieri e dall’amministrazione carceraria. Per il politico del DUP la libertà è un optional, evidentemente non fondamentale per una repubblicana innocente.



Di Alessia Lai, www.rinascita.eu


La grande distribuzione manipola il nostro stile di vita


(ASI) Agenzia Stampa Italia ha contattato Saverio Pipitone, giornalista pubblicista, è autore de “La finanza etica e socialmente responsabile” edito da Inves, di “Shock Shopping, la malattia che ci consuma”, edito da Arianna Editrice, ed è coautore, insieme a Monica Di Bari, di “Schiavi del Supermercato”, uscito sempre per Arianna Editrice.





I canali dei media di massa, supportati da consistenti investimenti economici, sono in grado di decidere la natura e la veste dell’informazione. Crede che gli stessi finanziatori possano plasmare le sensibilità, i gusti e i pensieri delle persone con l’intento di creare una massa di consumatori globali?

                                                                            

Ogni giorno veniamo bombardati da decine di messaggi pubblicitari, dalla televisione ai cartelloni e da internet alla radio fino ad arrivare alle promozioni dentro i supermarket, che ci comunicano le ultime novità dei beni di consumo, ci attraggono con una frase o una bella confezione e ci dicono che quella merce è indispensabile per il nostro stile di vita.

I produttori di merci insieme alla grande distribuzione organizzata attuano continuamente strategie di marketing e fidelizzazione inducendoci a consumare sempre di più e penetrano nelle menti per persuaderci dell’esistenza di nuovi bisogni. 

Oramai siamo tutti diventati consumatori che trascorriamo la maggior parte del nostro tempo libero nei luoghi di consumo quali ipermercati, centri commerciali, outlet center, multisale e parchi divertimento.

In questi luoghi un ruolo importantissimo viene svolto dal cosiddetto “merchandising” ovvero quell’attività studiata per convincere il consumatore nel momento decisivo della scelta davanti allo scaffale con un prodotto presentato in modo attraente, da un’incantevole confezione ad un qualche particolare slogan, per stimolare il cliente negli acquisti di impulso e incrementare le performance di vendita.

Circa l’80% delle scelte di acquisto avvengono all’interno del punto vendita di cui il 60% sarebbero dettate da un impulso momentaneo e in questo caso gli addetti ai lavori parlano di “momento della verità”.Si stima che questo attimo di tempo sia di circa sette secondi in cui il consumatore, già imbottito di messaggi pubblicitari, può cambiare preferenza o marca decidendo definitivamente cosa comprare e cosa mettere dentro il carrello.





Nel suo ultimo libro, “Shock Shopping, la malattia che ci consuma”, sostiene che la grande distribuzione organizzata – GDO – è in grado di condizionare la filiera produttiva dei consumi. Quali sono le tecniche che vengono utilizzate?



La GDO occupa il penultimo anello della filiera, ma riesce ad imporre le proprie strategie verso l’alto fino al produttore e a condizionare verso il basso il comportamento del consumatore.

Il produttore viene condizionato in quanto per rifornire la GDO si deve riorganizzare in termini di produzione al fine di offrire un prodotto ad un costo sempre più basso.  Ad esempio Wal-Mart, una delle più grandi insegne distributive statunitensi, è stata la prima ad imporre ai propri fornitori di ridurre gli imballaggi delle merci e di certo non per salvaguardare l’ambiente ma per ridurre all’osso i costi di filiera avendo così la possibilità di vendere a prezzi al consumo bassi.

La stessa insegna impone poi ai fornitori di mettersi a loro carico le telefonate quando li chiama per gli ordinativi o utilizzare un apposito sistema bancario interno a Wal-Mart per effettuare le transazioni commerciali di fornitura.

Altra metodo utilizzato dalla GDO per ridurre i costi di filiera è quello di saltare alcuni passaggi di filiera come i centri agroalimentari ed andando ad acquistare con proprie piattaforme direttamente dal produttore ma con la conseguente scomparsa di tutti quegli intermediari troppo piccoli per mantenere rapporti di fornitura con la GDO.





Lo “sviluppo consumista” ci ha portato ad un passaggio obbligato: nessun contatto diretto con il produttore e assistenza omogeneizzata. Dalla piccola bottega si è passati all’enorme centro commerciale. Quali sono i punti fondamentali di questo passaggio? E quali sono i giganti della grande distribuzione in Italia?



Le forme dell’incontro commerciale tra domanda e offerta, tra produttore e consumatore, si sono negli anni evolute in funzione dei cambiamenti intervenuti negli stili di vita con la conseguente nascita di un commercio estensivo supportato nel tempo da formule distributive in continua evoluzione: dalla bottega sotto casa al supermercato per arrivare al centro commerciale dove trovare tutto sotto lo stesso tetto ed oggi vi è la presenza di giganteschi parchi commerciali dove trovare tutto sotto lo stesso cielo con decine di negozi, ipermercati, outlet, multisale, parco divertimento.

Sono state create delle strutture in cui è possibile passare intere giornate e in futuro vi si potrebbe passare anche un intero week-end.

La prima conseguenza di un siffatto fenomeno mercantilista è la trasformazione da “cittadino del centro storico” in “consumatore del centro commerciale” con un allontanamento dalla realtà per entrare in un mondo artificiale di finzione fatto di consumi indotti.

I giganti della GDO in Italia sono la COOP ed ESSELUNGA che si fanno una permanente battaglia per la conquista di nuovi spazi da sfruttare per costruire centri commerciali ed oltre alle insegne italiane vi è la massiccia presenza delle insegne estere come Carrefour, Auchan, Lidl, Ikea solo per citarne alcuni.

Tra il 1996 e il 2006 la quota di mercato della GDO in Italia è passata dal 36% al 52%, mentre quella dei piccoli negozianti è scesa dal 53% al 35%, causando da un lato la chiusura delle piccole attività locali e dall’altro un’evoluzione di complesse formule distributive conduttori di logiche capitalistiche, lavoro precario, danni ambientali e disintegrazione dei tradizionali legami comunitari.





Come è possibile che i prezzi dei prodotti che arrivano da una filiera lunga sono molto spesso inferiori a quelli che arrivano da una filiera corta o dalla vendita diretta?



Una parte dei prodotti in vendita tra gli scaffali della moderna distribuzione hanno di solito un prezzo inferiore rispetto a quello praticato dalla filiera corta o dalla vendita diretta, poiché la GDO può contare sul risparmio proveniente dallo “storico” sfruttamento del lavoratore e dell’ambiente, iniziato secoli fa con lo sviluppo economico, ed anche dalla maggiore forza contrattuale che possiede nei confronti dei produttori.La GDO spreme anche il consumatore che oramai per fare la spesa prezza lui stesso i prodotti o usa le casse automatiche lavorando per conto della grande distribuzione producendogli profitto.

Ci sono stati però degli studi della Coldiretti e dalla Banca d’Italia sui prodotti alimentari che dimostrano come i prezzi aumentano sproporzionatamente nel percorso dal campo alla tavola e per fare un esempio il grano sarebbe venduto dall’agricoltore a 0,26 euro al kg ed arriverebbe come pane al supermercato superando in media i 2,5 euro.  Da un'altra una ricerca di mercato risulta che su una spesa media per alimenti di una famiglia, il 51% viene incassato dalla distribuzione che alla fine ci guadagna sempre.





Dunque mi sta dicendo che il presunto guadagno nell’immediato è solamente un’illusione?



Nel lungo termine il guadagno del produttore potrebbe rilevarsi un illusione in quanto per lavorare con la GDO dovrà sempre riorganizzare la produzione al fine di ridurre drasticamente i costi attuando delle strategie di riduzione dei salari o del personale e producendo un bene di scarsa qualità per rientrare nel budget di spesa.





Nel suo testo afferma: «La GDO è riuscita ad abolire la classica “lista della spesa” in cui viene scritto ciò che si vuole acquistare. Con il sistema del libero servizio in libero mercato non è più possibile pianificare alcunché in quanto il consumatore è avvolto da un vortice di consumo indotto». Come possiamo difenderci?



La difesa da tale sistema può venire soltanto dallo stesso consumatore perché anche lui possiede un potere di condizionamento sulla filiera distributiva delle merci ma ne deve essere consapevole, usare la ragione per cercare in primis di ridurre i consumi, non cadere nella trappola del consumo indotto, bazzicare per quanto è possibile nell’acquisto di prodotti direttamente dal produttore e soprattutto recuperare il valore d’uso dei beni che acquista in modo di accorciare il più possibile il percorso tra il supermercato e il bidone della spazzatura.



http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5124%3Ainterviste-la-grande-distribuzione-manipola-il-nostro-stile-di-vita&catid=19%3Ainterviste&Itemid=46


martedì 27 settembre 2011

Perugia-Assisi: i quattro dell’ave maria.


Si è chiuso il sipario sul cinquantenario della marcia della pace Perugia-Assisi. Come sempre tanta gente e tanta confusione di idee. I temi sono sempre gli stessi: i conflitti nel mondo, la pace tout court, il lavoro, gli immigrati ma le risposte non si svincolano dal solito cliché ideologico. E’ un deja vu che va avanti da 50 anni con una contraddizione enorme: a guidare la passeggiata per la pace sono proprio i guerrafondai. Alludiamo naturalmente ai politici di centrosinistra perché quelli di centrodestra hanno almeno il pudore di non presentarsi, se non in rare eccezioni.

I più assidui marciatori di questa parata dell’ipocrisia sono stati, nel corso degli anni, i vari D’Alema, Bertinotti, Veltroni, Bersani, Diliberto, Pecoraro Scanio, Rosy Bindi e tanti altri che predicano la pace ma poi fanno la guerra. Non per niente in tutte le varie missioni che gli anglo-americani ci hanno imposto i due schieramenti si sono dati molto da fare. Basti pensare al primo impegno del pacifinto D’Alema che nel ’99 mandò i bombardieri italiani su Belgrado, genuflettendosi ai diktat di Clinton. Poi nel 2001 a Palazzo Chigi subentrò Berlusconi iniziando il lungo cammino che da 10 anni ci tiene impegnati in questa guerra al terrorismo voluta da Bush. Con gli intermezzi dell’aggressione all’Iraq e alla Libia. E se qualcuno pensa che gli amati pacifisti Ciampi, Prodi, Napolitano, Veltroni, Vendola, Bertinotti, Pecoraro Scanio non si siano sporcate le mani di sangue è un grande ipocrita. Questi signori hanno sempre votato il rifinanziamento delle missioni di guerra, come gli stessi esponenti della maggioranza. Anche nel 2006 quando Prodi vinse le elezioni i pacifisti del Pd, dell’IdV e della sinistra radicale, con la sola eccezione di Turigliatto, hanno votato compatti le missioni di morte. E’ vero tanti mal di pancia dentro Rifondazione, nei Verdi e nel Pdci però poi si è accettata una logica perversa: guerra o caduta del governo. E così si è andati alla guerra. E tutt’ora, centrodestra e centrosinistra, vanno a braccetto non solo a Kabul ma anche a Tripoli. La sceneggiata dunque continua… E la vergogna è che continui in questa kermesse della marcia Perugia-Assisi. Con quale faccia la Bindi, Vendola, Ferrero e Bonelli sfilano tra i pacifisti? Parlano di pace ma hanno votato la guerra. Non è che votando contro quando non si è al governo salvi la faccia. Il Pd, Rifondazione e Verdi quando sono stati al governo hanno votato le bombe, benché si dichiarassero per la pace. Quantomeno nel centrodestra si è meno ipocriti, almeno su queste finte missioni umanitarie. Avete mai visto Berlusconi marciare nella Perugia-Assisi? Certo non ci vanno anche perché si prenderebbero una salva di fischi e di improperi, in quanto queste kermesse sulla pace hanno il cappello della sinistra. Però la contraddizione resta ed è forte. In pratica sì accetta la guerra per non mandare Berlusconi al governo. Poi ci va lo stesso e le contraddizioni nel centrosinistra non fanno che aumentare. Come si può essere così ipocriti? La Bindi ha parlato di fedeltà e costanza del popolo pacifista, formato da tanti giovani e dalle associazioni. Ma ci fate o ci siete? E chi partecipa si rende conto della grave contraddizione interna a questi partiti? Probabilmente per cecità ideologica ne sono complici. Come si può marciare con queste persone? Misteri della fede. D’Alema nel 2001 fu contestato anche perché le sue bombe su Belgrado erano un ricordo fresco, però la contraddizione di questo popolo pacifista resta. Non si può sfilare con politici che si dicono contrari però votano le missioni di morte nei confronti di altri popoli. Poi anche il solito messaggio che arriva dal Quirinale è davvero da rispedire al mittente. Come si può accettare da Napolitano la condivisione della pace? E’ stato proprio l’inquilino del Colle a buttarci in questa sporca guerra del deserto libico. Un altro Paese distrutto per questi ipocriti genuflessi agli interessi dei potenti. All’annuncio di questo messaggio il popolo marciante avrebbe come minimo subissarlo di fischi, invece applausi. Allora due sono le cose: o si hanno le idee offuscate oppure si è completamente degli ipocriti. A proposito di questa missione di morte a Tripoli, voluta dagli anglo-francesi, il benemerito inquilino del Colle assieme agli altri benemeriti ipocriti ha detto che la nostra partecipazione era in funzione della risoluzione Onu, a difesa della popolazione di Bengasi. Seguendo questo pensiero dovremmo quindi andare a difendere la popolazione di Sirte minacciata dagli insorti e dalla Nato. Come mai il padre della patria Napolitano non s’indigna? Che figura meschina! Pensare quindi che la marcia della pace Perugia-Assisi possa ancora avere una sua credibilità è da ipocriti.



Di Michele Mendolicchio,
www.rinascita.eu


lunedì 26 settembre 2011

Passignano sul Trasimeno (PG): Stefano Fabei presenta “I Neri e i Rossi”.



(ASI) Venerdì 30 Settembre, alle ore 18.00, presso la Sala consiliare del Comune di Passignano sul Trasimeno (PG), si terrà la presentazione dell’ultimo lavoro del Prof. Stefano Fabei: “I Neri e i Rossi”, edito da Mursia (pp. 344, euro 22).



Il testo è una documentata descrizione dell’apertura di Benito Mussolini, tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945 – durante la Repubblica Sociale Italiana – al mondo socialista e rivoluzionario. L’autore ricostruisce la cosiddetta “operazione ponte”, dove Mussolini, in collaborazione con Edmondo Cione e il comandante delle formazioni partigiane socialiste “Matteotti” Corrado Bonfantini, tentò di sfruttare la collaborazione di elementi moderati in ambedue gli schieramenti per consegnare il potere al Comitato di liberazione nazionale. Il 22 aprile del 1945, il Duce, compiendo la sua ultima manovra politica, consegnò al giornalista antifascista Carlo Silvestri, la proposta da far recapitare al Partito Socialista di Unità Proletaria, dove si leggeva: “Poiché la successione è aperta in conseguenza dell’invasione angloamericana Mussolini desidera consegnare la Repubblica Sociale ai repubblicani e non ai monarchici; la socializzazione e tutto il resto ai socialisti e non ai borghesi”. L’auspicato incontro tra i “neri” e i “rossi”, grazie anche all’intransigenza di Basso e Pertini, non si realizzò.



La presentazione del libro sarà coordinata dalla Prof.ssa Francesca Valentini, docente ITAS “Giordano Bruno” e membro della Direzione regionale del Partito Democratico. Interverranno: Claudio Bellaveglia, Sindaco di Passignano sul Trasimeno, Franco Asciutti, Senatore del Popolo della Libertà; Andrea Lignani Marchesani, Vicepresidente del Consiglio Regionale dell’Umbria, il Prof. Giuseppe Parlato, ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Luspio di Roma, Presidente della Fondazione Ugo Spirito, prefatore del volume. La presentazione è stata organizzata in occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia, con il patrocinio della Regione dell’Umbria, del Consiglio Regionale, della Provincia di Perugia e del Comune di Passignano sul Trasimeno.



La prossima presentazione de “I Neri e i Rossi” si svolgerà a Roma, giovedì 20 Ottobre, alle ore 17.30, presso la Fondazione Ugo Spirito.



Di Fabio Polese, www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5041:passignano-sul-trasimeno-pg-stefano-fabei-presenta-i-neri-e-i-rossi&catid=16:italia&Itemid=39


mercoledì 21 settembre 2011

Chavez: "la Palestina vivrà e vincerà".


CARACAS - Il Venezuela sostiene "il diritto della Palestina di diventare un Paese libero, sovrano e indipendente.



Questo rappresenta un atto di giustizia storica nei confronti di un popolo che porta con sé, da tempo immemorabile, tutto il dolore e la sofferenza del mondo". Così il presidente venezuelano Hugo Chavez in una lettera al segretario delle Nazioni unite Ban Ki-moon e all'Assemblea generale dell'Onu. Il popolo palestinese, ha aggiunto Chavez, ha diritto a uno Stato sovrano. Il presidente venezuelano, a Cuba per sottoporsi a nuove cure anticancro, ha detto che seguirà da vicino il dibattito all'Onu sulla questione palestinese e sul conflitto in Libia. Nella lettera, datata 17 settembre e diffusa oggi, Chavez condanna il "genocidio dei palestinesi" e il "sionismo", nonché il ruolo degli Stati Uniti in Medioriente. Secondo Chavez, "la risoluzione del conflitto in Medioriente deve, necessariamente, portare giustizia al popolo palestinese. È sconvolgente e doloroso che le stesse persone che hanno sofferto i peggiori esempi del genocidio nella storia siano diventate carnefici del popolo palestinese". "Una cosa - ha detto Chavez - è denunciare l'antisemitismo e un'altra, completamente diversa, accettare passivamente che la barbarie sionista imponga un regime di apartheid nei confronti del popolo palestinese". Il presidente venezuelano critica da tempo le politiche di Tel Aviv e ha interrotto i rapporti con Israele a gennaio del 2009 per protestare contro l'offensiva militare nella Striscia di Gaza. Chavez ha concluso la sua lettera all'Onu scrivendo: "La Palestina vivrà e vincerà".



http://italian.irib.ir/notizie/palestina-news/item/96946


martedì 20 settembre 2011

ALPINISMO - Walter Bonatti: una leggenda.


(ASI) Walter Bonatti, classe 1930, fin da giovanissimo si era reso protagonista di imprese alpinistiche estreme. Imprese difficili anche con le attrezzature più tecnologiche dei giorni nostri. Il mondo solitario e luminoso delle vette lo faceva vivere davvero: “da quassù il mondo degli uomini altro non sembra che follia, grigiore racchiuso dentro se stesso. E pensare che lo si reputa vivo soltanto perché è caotico e rumoroso”.



Inizia a scalare sulle Prealpi lombarde subito dopo la guerra per poi cimentarsi sulle Dolomiti e sul Monte Bianco. Nel 1951, con Luciano Chigo, scala la parete est del Grand Capucin. Nel 1954 Bonatti è il più giovane partecipante alla spedizione capitanata da Ardito Desio, che porterà Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sulla cima del K2 e, nel 1955, sale in solitaria il pilastro sud del Petit Dru.



Walter Bonatti lascia l’alpinismo nel 1965 dopo una salita che ha fatto epoca: scala in solitaria invernale, per la prima volta, la parete nord del Cervino. Questa salita è la conclusione della sua carriera che da sola può costituire un capitolo della storia mondiale dell’alpinismo. Appeso a quattromila metri di altezza o a tracciare vie storiche sulle Alpi negli anni 50 e 60, non ha mai smesso di cercare vette ed esperienze interiori sempre più alte. Dopo l’alpinismo, Bonatti, ha continuato la sua avventura esplorando foreste, deserti e popolazioni sconosciute e scrivendo numerosi libri e reportage.



Un anno fa Bonatti aveva festeggiato il suo ottantesimo compleanno ed era ancora perfettamente in forma. Proprio in questa occasione aveva dichiarato: “Non mi sento di avere 80 anni se penso all'intensità con la quale ho vissuto, credo di averne 200, per il resto mi sento come un quarantenne” - e ancora – “ho abbandonato l'alpinismo estremo nel '65 perché con i mezzi tradizionali, ai quali avevo giurato fedeltà, potevo ormai solo più ripetermi. Ancora oggi vado in montagna e sono felice come lo ero quando scalavo le montagne più alte del mondo. La corsa verso i record ha portato l'alpinismo, come gli altri sport, ai trucchetti”. E molto probabilmente è proprio così. Le Alpi e le altre vette conosciute bene da Bonatti sono tristemente diventate irriconoscibili, logorate dalla sindrome della modernità alla ricerca del superfluo. 



Con Bonatti se ne va un grande uomo. Un uomo d’altri tempi che è stato capace di vivere la montagna e la vita di tutti i giorni.



di Fabio Polese,

www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=4948:alpinismo-walter-bonatti-una-leggenda&catid=40:cultura&Itemid=127


venerdì 9 settembre 2011

Ahmad Shah Massoud 09-09-2001 / 09-09-2011

Ahmad Shah Massoud


di Franco Nerozzi



Di tanto in tanto, nel corso della storia, le radici invisibili della Sacra Pianta della Tradizione alimentano frutti straordinari, destinati, per la loro rigogliosa pienezza, a nutrire perpetuamente gli spiriti affamati di luce. A volte sono uomini di filosofia, artisti, letterati, figure religiose e politiche, individui generosi che donano più di quanto abbiano ricevuto, personalità che trascinano con carismatica attrazione moltitudini di anime verso destini grandiosi. A volte sono guerrieri. Come quello che incontrai più volte nel paese degli Ariani, alte montagne e sconfinati deserti tra Persia, Cina, Russia e subcontinente indiano: l'Afghanistan. Ahmad Shah Massoud, il "leone del Panjshir", il comandante dei mujaheddin che negli anni '80 combatterono e sconfissero le truppe di occupazione dell'Armata Rossa, parlava con la sobrietà e la semplicità degli uomini consapevoli del proprio valore. In una spoglia stanza di una casa segnata dalle schegge di bomba conobbi per la prima volta l'uomo che era già divenuto leggenda, incubo dei reparti sovietici, vessillo di libertà per un popolo che resisteva orgogliosamente all'imperialismo rosso. Il Panjshir, dove mi trovavo, aveva subito numerose offensive delle truppe di Mosca: bombardamenti a tappeto con Tupolev 16, e invio di venti, a volte trentamila soldati supportati da reparti corrazzati con l'appoggio di commandos che gli elicotteri russi depositavano sulle cime che circondavano la valle. Niente da fare: la distruzione dei villaggi, dei canali d'irrigazione e dei raccolti, il massacro di migliaia di civili, non era mai servito alla conquista della roccaforte di Massoud. Il comandante si ritirava, attendeva che i sovietici allungassero le loro linee nel dedalo di vallate e di remoti dirupi e puntualmente contrattaccava infliggendo al nemico pesanti perdite e umilianti lezioni di tattica militare. "Con l'aiuto di Allah l'Onnipotente e il sacrificio dei combattenti del "Jihad" riporteremo la pace in Afghanistan" mi aveva detto sorridendo serenamente mentre cupi boati salivano dalla piana di Charikar, lo sbocco del Panjshir verso Kabul.



Continua su:

http://www.comunitapopoli.org/uploads/ahmad_shah_massoud.pdf


Terre di lotta: IRLANDA DEL NORD – Cerveteri (RM), sabato 8 ottobre.



11 settembre 2001: inganno globale? Intervista a Massimo Mazzucco


(ASI) Dieci anni fa avvenivano, oltreoceano, gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono. Agenzia Stampa Italia ha contattato Massimo Mazzucco, regista e scrittore, gestore del sito www.luogocomune.net, portale che sviscera argomenti di enorme rilevanza politica e sociale, facendolo in maniera competente ed alternativa.



Mazzucco è autore di approfondite ricerche sugli attentati dell’11 settembre, le quali lo hanno portato a sviluppare una versione su quell’evento diversa rispetto a quanto impostoci dalle autorità e dai media di massa. Ha raccolto il suo lavoro nel documentario dall’eloquente titolo “11 settembre 2001, inganno globale”. A dieci anni dagli attentati che scossero l’opinione pubblica mondiale e scatenarono nuove, interminabili guerre atte a modificare gli assetti geopolitici, il tema sta ricorrendo su carta stampata e tv. Noi di Agenzia Stampa Italia abbiamo scelto di discuterne con Mazzucco, al fine di comprendere le argomentazioni di coloro i quali vengono, sprezzantemente, definiti “cospirazionisti” o “complottisti”, dunque relegati ai margini dell’informazione cosiddetta “mainstream”.



Mazzucco, la storia dell’uomo è costellata di eventi importanti che, nel corso del tempo, sono stati revisionati dagli storici che ne hanno dipanato le ombre scure delle verità ufficiali, partigiane e imprecise. Tuttavia, questo processo di revisione solitamente impiega periodi di tempo molto lunghi; nel caso dell’11 settembre, ritiene che siano bastati questi dieci anni - durante i quali sono spuntati documenti, sono usciti una decina di libri e vari documentari che inchioderebbero l’amministrazione americana quale complice dell’accaduto - per rendere presso l’opinione pubblica inattendibile la versione ufficiale?



In realtà il processo di revisione non arriva mai fino in fondo. Se prendiamo ad esempio il caso Kennedy, nel corso degli ultimi quarant’anni centinaia di ricercatori, con libri e documentari, hanno dimostrato oltre ad ogni ragionevole dubbio l’implausibilità della versione ufficiale. Nonostante questo, nei libri di storia leggiamo ancora che sia stato Oswald, e lui soltanto, ad uccidere il presidente Kennedy.

Oggi, grazie ad Internet, i tempi di questa “revisione” sono di molto accelerati. Ma è anche aumentata la capacità di risposta dei media mainstream a livello globale, per cui stiamo assistendo ad un equivalente del dibattito sul caso Kennedy, in tempi molto più accelerati. Ma anche in questo caso ritengo che la revisione si fermerà ad un passo dal riconoscere ufficialmente che quella dell’11 settembre fu una grande menzogna. Nessun governo può permettersi di riconoscere ufficialmente una cosa del genere, e meno di tutti quello americano.



Molte persone, seppur messe al cospetto di spiegazioni scientifiche da parte di ricercatori di verità alternative come lei, faticano a credere che gli attentati dell’11 settembre possano rappresentare - per mutuare un termine del giornalista Maurizio Blondet - un “colpo di Stato”. Questa ritrosia deriva presumibilmente dal mito della “potenza buona” che gli Usa hanno saputo dipingersi addosso negli anni. Tuttavia, in pochi sanno che l’11 settembre si collocherebbe sulla scia di quanto già avvenuto nel corso della storia degli Usa; non è vero?



Io ritengo soprattutto che si tratti di un problema psicologico. Per molte persone è estremamente difficile accettare che un qualunque governo occidentale abbia il coraggio di assassinare i propri cittadini per ottenerne un vantaggio politico a livello internazionale. Per molte persone accettare questo significa perdere la propria fiducia nelle istituzioni, mentre in realtà costoro dovrebbero comprendere che è proprio grazie a un processo di giustizia completo e trasparente, contro gli eventuali mandanti interni dell’11 settembre, che tali istituzioni verrebbero rafforzate.

Nel 1898 gli americani si auto-affondarono la nave da guerra Maine, ancorata di fronte al porto di Cuba, uccidendo 250 dei propri marinai. Di questo attentato furono immediatamente incolpati gli spagnoli, e ciò servì a giustificare l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro la Spagna, che portò alla conquista di Cuba da parte degli americani.

Nel 1941 gli Stati Uniti provocarono l’incidente di Pearl Harbor, e poi non fecero nulla per avvisare il comandante del porto dell’imminente attacco giapponese. La morte di 3000 marinai americani servì a Roosevelt per presentarsi in parlamento e chiedere i pieni poteri per entrare in guerra contro Germania e Giappone.

L’incidente del Golfo del Tonchino, che servì agli Stati Uniti per dare inizio alla guerra del Vietnam, fu totalmente inventato. Lo ammise lo stesso Robert McNamara, che al tempo era ministro della difesa americano, pochi anni prima di morire, nel 2005.

Questi sono solo i casi più evidenti. Nel film “Il nuovo secolo americano” ho anche descritto nel dettaglio i casi più recenti che permisero agli Stati Uniti di lanciare la prima invasione dell’Iraq, durante la prima guerra del golfo.



Molto sinteticamente, può elencarci quali sono le ragioni per cui sarebbe da ritenersi falsificata volontariamente la versione ufficiale sull’11 settembre?



Purtroppo non è più possibile elencarle modo sintetico, perché nel frattempo sono emerse tutte le contro-risposte da parte di coloro che difendono la versione ufficiale. Per cui a questo punto è necessaria una indagine che presenti non solo i nostri capi di accusa, ma anche gli argomenti sollevati dai difensori della versione ufficiale, e le nostre repliche a quegli argomenti. E’ quello che sto facendo nel nuovo documentario sull’11 settembre che sto preparando.



Lei afferma che le Torri Gemelle fossero state minate preventivamente. Dunque, le rivolgo una domanda che i paladini della versione ufficiale usano per respingere le argomentazioni alternative: come è potuta avvenire un’operazione così sofisticata senza che nessuno dei tanti frequentatori quotidiani delle Torri si accorgesse di nulla?



Molto probabilmente, l’operazione fu fatta alla luce del giorno, sotto gli occhi di tutti. Qualche mese prima ci fu la completa “ristrutturazione“ degli ascensori delle torri gemelle. Questa ristrutturazione permise agli “operai“ di accedere direttamente alle colonne portanti di tutto l’edificio, piano per piano. Inoltre, durante il weekend dell’8/9 settembre si registrò un completo distacco della corrente elettrica nella torre sud, che fece azzerare tutti i sistemi di sicurezza, proprio mentre veniva attuato un “ammodernamento” del sistema elettrico in tutta la torre.



È davvero possibile che per dieci anni le tantissime persone coinvolte in questa “cospirazione” così grave abbiano mantenuto un tenace silenzio tale da non consentirle una degna risonanza mediatica?



In realtà io devo ancora capire perché mai qualcuno di coloro che hanno partecipato al complotto dovrebbe offrirsi come volontario per la sedia elettrica. È un ragionamento che non ho mai compreso, e che viene proposto continuamente da chi difende la versione ufficiale. A mio parere questo ragionamento non offende nemmeno l’intelligenza di chi lo ascolta, offende direttamente l’intelligenza di chi lo propone.



Come giudica i risultati della Commissione ufficiale d’inchiesta sull’11 settembre?



I risultati della commissione ufficiale d’inchiesta sull’11 settembre sono esattamente il motivo per cui oggi l’intero Movimento per la verità chiede una nuova investigazione. Si tratta, a mio parere, dell’equivalente storico del famigerato Rapporto Warren, quello che incolpò Oswald coprendo i veri responsabili dell’assassinio del presidente Kennedy.



In termini strettamente geopolitici, quale interesse avrebbero avuto gli Usa a provocare quelle stragi l’11 settembre di dieci anni fa?



Le motivazioni ormai sono sotto gli occhi di tutti. Il rafforzamento del controllo militare americano su zone ricche di fonti energetiche come il Caspio, il cui gas naturale transita proprio in Afghanistan, e ovviamente le riserve petrolifere dell’Iraq.



Alla luce dell'attuale assetto geopolitico internazionale, del ruolo sempre meno egemonico degli Usa, esistono, a suo avviso, motivi validi per temere un altro attentato terroristico in stile 11 settembre?



Questo dipenderà, a mio parere, dalla scelta o meno di attaccare l’Iran da parte delle potenze occidentali. Se prevarranno i falchi, sicuramente avranno bisogno di creare un nuovo incidente per giustificare la nuova aggressione.

Questo non significa che il nuovo incidente debba per forza avvenire sul territorio americano. Proprio l’altra sera, alla CNN, la direttrice della Homeland Security, Janet Napolitano, ha detto che “oggi il nostro sistema di difesa non dovrebbe più permettere una nuova cospirazione, come quella dell’11 settembre.”

Ha letteralmente usato il termine “cospirazione”. Curioso, vero?



Di Federico Cenci,


http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=4799:11-settembre-2001-inganno-globale-intervista-a-massimo-mazzucco-&catid=19:interviste&Itemid=46